Il padre del concepito, in base alla Legge 194, può partecipare al percorso che porta alla scelta di interrompere la gravidanza solo ove sia la madre ad acconsentirlo

Nell’ordinamento giuridico italiano le scelta ultima in relazione alla decisione di interrompere una gravidanza entro i primi 90 giorni spetta alla donna, sposata o meno, in piena liberà di autodeterminazione; il padre del concepito, al riguardo, non può quindi opporsi alla volontà della madre.
L’articolo 5 della legge n. 194/1978, pur prevedendo l’importanza del padre del concepito nel percorso che porta alla scelta dell’aborto, ne prevede la presenza presso il medico di base, nel consultorio o nella struttura sanitaria solamente nel caso in cui la donna lo consenta.
Tale principio è stato ribadito anche dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 11094/1998) a fronte del tentativo di far valere l’illegittimità costituzionale di quanto disposto dalla normativa vigente, mettendo in discussione la prerogativa esclusiva della donna sulla decisione di proseguire o meno la gravidanza.
In tal senso si è espresso nel 2006 anche il Tribunale di Monza, che ha respinto la domanda di risarcimento avanzata da un uomo nei confronti della moglie per la decisione di abortire presa da quest’ultima senza averlo coinvolto. L’uomo inoltre chiedeva la separazione, con addebito alla moglie, per la violazione dei doveri derivanti dal matrimonio.
La sentenza emessa dal giudice, in quest’ultimo caso,  ha rilevato l’incongruità dell’eventuale addebito delle separazione, con relative conseguenze economiche, nei confronti di una donna, sia pure moglie, per effetto dell’esercizio di un diritto riconosciutole dalla legge. Di fronte alla decisione della moglie di abortire, dunque, il marito potrà chiedere la separazione se non ha condiviso la scelta della coniuge e se ritiene che la convivenza non sia più possibile,  ma non potrà chiedere che la separazione sia addebitata alla consorte, né tantomeno il risarcimento del danno per la lesione al suo diritto alla paternità. Se, infatti, la procreazione costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalità primarie del matrimonio è altrettanto vero che chi esercita un proprio diritto non può, per tale motivo essere penalizzato in giudizio.
 

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1 commento

  1. Questa legge va rivista e corretta nel riequilibrio dei diritti riproduttivi.
    Si introduca anche il principio di disconoscimento della paternità negli stessi termini e tempi di quella femminile.
    Non per una ripicca, ma perché s’inquadra nella stessa struttura formale e logica.
    Se la procreazione è ridotta a questo, allora è giusto andare verso quella direzione.
    Ma mi aspetto obiezioni…politiche. E sociologiche.

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