Il titolare di uno studio medico, ha l’obbligo di verificare, in via prioritaria, il possesso dei titoli formali dei suoi collaboratori, controllando che, in relazione ai detti titoli, svolgano l’attività per cui risultano abilitati

Chiunque consenta o agevoli lo svolgimento da parte di persona non autorizzata di attività professionale per cui è richiesta una specifica abilitazione dello Stato risponde a titolo di concorso nel delitto di esercizio abusivo di una professione, disciplinato dall’articolo 348 del codice penale.
Lo ha chiarito la Corte d’appello di Palermo nel confermare la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale Monocratico di Agrigento che aveva condannato il responsabile di uno studio odontoiatrico, colpevole ai sensi dell’articolo 348 c.p. per avere messo a disposizione i locali e le attrezzature del proprio centro a una finta odontoiatra, nel caso in questione la moglie, che operava pur essendo priva del relativo titolo abilitativo.
Il dentista aveva presentato ricorso in appello evidenziando come la moglie fosse in possesso di un titolo di laurea in odontoiatria conseguito all’estero, circostanza emersa dalle dichiarazioni della segretaria dello studio, che lo stesso Tribunale aveva ritenuto attendibile; inoltre, i vari interventi realizzati verso i pazienti avrebbero rappresentato la dimostrazione del possesso da parte della stessa di una specifica cognizione tecnica. Pertanto, secondo l’appellante, sarebbe mancata la prova che la donna non potesse svolgere le attività riferite dai testi, non essendo emerso alcun accertamento finalizzato a verificare la validità del titolo in Italia.
Il Giudice di secondo grado, tuttavia, ha ritenuto l’appello infondato. Per la Corte, infatti, anche a volere ammettere l’esistenza del titolo di studio straniero (solo dedotto dal difensore dell’appellante) non solamente era stato accertato che la donna non risultasse iscritta al’Albo dei medici dentisti-odontoiatri né in alcun altro albo professionale medico e che quindi fosse sprovvista del titolo abilitativo, ma plurimi elementi avrebbero indotto a ritenere che l’esercizio da parte della stessa di tale attività non solo fosse conosciuto ma di fatto autorizzato dal marito titolare dello studio.
Richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la Corte d’appello ha precisato che “il responsabile di uno studio medico per la peculiarità della funzione posta a tutela di un bene primario ha l’obbligo di verificare, in via prioritaria, il possesso dei titoli formali dei suoi collaboratori, curando che in relazione ai detti titoli essi svolgano l’attività per cui essi risultano abilitati”.
Dalla natura di norma penale in bianco dell’art. 348 c.p. deriva che l’ignoranza dei limiti di attività autorizzati dalla legge, in relazione al titolo professionale conseguito, corrisponde ad ignoranza della legge penale, inescusabile per colui il quale, come l’appellante, aveva un onere specifico di informazione, oltre che una particolare e specifica preparazione professionale.
Nel caso in esame, quindi, il mancato rigoroso adempimento degli obblighi di verifica formale dei titoli abilitanti il concreto esercizio della professione da parte della moglie, peraltro agevolmente verificabile contattando l’ordine dei medici, rende palese la responsabilità concorsuale del titolare dello studio il quale, peraltro, agevolando lo svolgimento abusivo della prestazione professionale della moglie, nel corso di molti anni era riuscito a curare un più alto numero di pazienti in convenzione con maggiori guadagni per i suoi studi professionali.

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