Confermata la condanna di un uomo che aveva effettuato una accesso abusivo al conto corrente dell’ex moglie, stampando documenti che erano poi stati prodotti nella causa civile di separazione

Il marito o la moglie che, senza alcuna autorizzazione, consultino i dati del conto corrente del coniuge commettono un illecito. Il reato configurato è quello di accesso abusivo a un sistema informatico.

A giustificazione della condotta, peraltro, non può essere invocato l’art. 51 del codice penale. In base a tale norma l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14627/2018. La quinta sezione penale, nello specifico, ha respinto il ricorso presentato da un uomo, condannato ai sensi dell’art. 615-ter c.p. La disposizione prevede la reclusione fino a tre anni per chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza.

Il marito, secondo quanto appurato dai giudici di merito, era colpevole di aver effettuato una accesso abusivo al conto corrente intestato alla moglie. Il tutto nonostante gli fosse stata revocata la delega a operare online.

L’imputato aveva stampato gli estratti conto della donna e li aveva prodotti nella causa civile di separazione.

Nell’impugnare la sentenza davanti alla Suprema Corte, il ricorrente aveva insistito nel sostenere la legittimità della sua condotta. L’uomo deduceva la sua autorizzazione ad accedere all’area riservata della ex.  Dal possesso di una “chiavetta genera codici”. Lo strumento gli era stato consegnato al momento della sottoscrizione del contratto di conto corrente e sarebbe stata lecitamente detenuta e utilizzabile.

Inoltre, a suo avviso, la condotta sarebbe stata scriminata dalla funzionalità dell’accesso all’esercizio delle facoltà difensive nell’ambito del procedimento di separazione giudiziale.

Gli Ermellini, tuttavia, non hanno ritenuto di aderire a tali argomentazioni, respingendo il ricorso in quanto manifestamente infondato. La Corte territoriale aveva verificato l’esistenza di due conti corrente. Il primo era intestato a entrambi i coniugi; a questo era collegata la chiavetta genera codici presente in atti. Il secondo, a cui invece si riferiva il capo di imputazione vedeva come  titolare la sola moglie. Su quest’ultimo l’imputato non aveva alcuna valida autorizzazione a operare.

Non ha trovato accoglimento neppure la giustificazione invocata ai sensi dell’arti. 51 c.p. La Cassazione ha evidenziato, infatti, come tale norma non possa operare sino a consentire intromissioni indebite nella sfera di riservatezza di una controparte processuale.

 

 

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