A seguito del matrimonio, la ricorrente aveva acquistato alcuni locali ad uso commerciale e un appartamento, prevedendo all’atto dell’acquisto che tali beni, essendo stati acquistati con suo denaro personale, fossero esclusi dalla comunione legale, ai sensi dell’art. 179, lett. f), c.c.

A seguito della dichiarazione di fallimento della società in nome collettivo di cui il marito era socio unico illimitatamente responsabile, il curatore fallimentare previa autorizzazione del giudice delegato, trascriveva la sentenza di fallimento sugli immobili di proprietà di quest’ultimo; tra questi vi rientrava anche l’immobile acquistato “personalmente” dalla propria moglie, sul presupposto che la sua partecipazione al contratto sebbene egli non ne fosse formalmente acquirente ed il suo assenso all’acquisto personale in favore dell’altro coniuge non fossero elementi ostativi ad escluderlo.
Ma la donna non era d’accordo e perciò, conveniva in giudizio la curatela fallimentare della società e del socio unico al fine di ottenere la cancellazione della trascrizione della sentenza di fallimento sugli immobili citati perché esclusi dalla comunione.

Il ricorso per Cassazione

Dopo esser stata respinta sia in primo grado che in appello, la sua istanza finiva davanti ai giudici della Cassazione.
Ebbene questi ultimi, facendo espressa menzione di un noto precedente giurisprudenziale hanno ribadito che: “Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179 c.c., comma 2, si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall’art. 179 c.c., comma 1, lett. c), d) ed f), con la conseguenza che l’eventuale inesistenza di tali presupposti può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento negativo, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente sia intervenuto nel contratto per aderirvi “(Cass. SS.UU. 22755/2009).
Ora, nel caso in esame, la domanda di accertamento formulata dalla ricorrente implicava necessariamente l’accertamento della sussistenza dei presupposti di fatto dell’esclusione dei beni dalla comunione, non essendo certamente sufficiente, a tal fine la mera dichiarazione contenuta nell’atto di vendita.
Si trattava, tuttavia, di un accertamento di fatto, già effettuato dalla Corte territoriale e non censurabile in sede di legittimità e comunque, mancavano gli ulteriori presupposti, di natura sostanziale, per poter escludere l’appartenenza dei suddetti beni alla comunione.
Per tali motivi il ricorso è stato respinto.

La redazione giuridica

 
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