Era stato accusato del reato di peculato (di cui all’art. 314 c.p.) perché – secondo l’accusa -, in qualità di albergatore e amministratore delegato della società proprietaria di un hotel di Milano e in concorso con il direttore del medesimo albergo, si era appropriato della somma di euro 47.856 incassata a titolo di imposta di soggiorno, versata dai clienti della struttura alberghiera

In entrambi i giudizi di merito l’albergatore era stato condannato alla pena di legge, perché ritenuto responsabile del reato ascritto (peculato).

Seguiva pertanto, il ricorso dinanzi ai giudici della Cassazione.

La questione giuridica controversa attiene alla configurabilità del reato di peculato nel caso di appropriazione da parte del gestore di una struttura alberghiera o ricettiva residenziale delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno per conto dell’ente comunale.

Il difensore dell’imputato eccepiva che questi non era a conoscenza della sua qualifica di pubblico ufficiale, in quanto ignorava che tale attività, attribuita agli albergatori dal Regolamento comunale della città di Milano in ordine all’imposta di soggiorno, fosse qualificabile come attività amministrativa disciplinata da nome di diritto pubblico.

Dunque, mancava l’elemento soggettivo del dolo. Ma tale circostanze non era stata per nulla valorizzata dalla corte d’appello che al contrario, in modo del tutto contraddittorio ed erroneo, l’aveva completamente omessa.

Il giudizio della Cassazione

La questione della configurabilità del reato di peculato nel caso di appropriazione da parte del gestore di una struttura alberghiera o ricettiva residenziale delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno per conto dell’ente comunale è stata già affrontata da due arresti della Suprema Corte (Sez. 6, n. 53467 del 25 ottobre 2017; Sez. 6, n. 32058 del 17/05/2018).

In particolare, l’ultima delle due pronunce appena citate ha ricostruito ampiamente la normativa di settore.

Cosicché i giudici della Cassazione, nella vicenda in esame, ne hanno ripercorso i momenti salienti condividendo l’indirizzo giurisprudenziale espresso.

La disciplina dell’imposta di soggiorno

La disciplina dell’imposta di soggiorno è contenuta nel D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 4, contenente disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale.

L’imposta di soggiorno propriamente denominata è esclusivamente quella individuata dal primo comma dell’art. 4, il quale dispone che “i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio“.

Il legislatore, pertanto, ha definito i contorni della disciplina del tributo individuandone il presupposto, costituito dal soggiorno nelle strutture ricettive localizzate entro il territorio degli enti locali impositori, nonché i soggetti passivi, rappresentati dagli ospiti di tali strutture.

In conformità al principio della riserva di legge vigente per la materia tributaria, sono state poi individuate la misura massima dell’aliquota nonché i criteri di modulazione della medesima, per cui il tributo deve applicarsi “secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 Euro per notte di soggiorno”.

Il legislatore è altresì intervenuto con riguardo alla destinazione del gettito del tributo, disponendo che le entrate sono destinate a “finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali“.

Ebbene, come emerge dal quadro giuridico appena citato, le disposizioni contenute nel regolamento comunale in materia di imposta di soggiorno, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, trovano la loro base normativa in una espressa norma di legge volta a disciplinare gli aspetti essenziali del tributo, laddove quella regolamentare viene adottata al fine di attuarne e specificarne il generale contenuto di indirizzo nella competente sede territoriale.

L’incaricato o responsabile della riscossione del tributo

Quanto ai profili soggettivi, deve dirsi che l’incaricato o responsabile della riscossione del tributo svolge un’attività ausiliaria nei confronti dell’ente impositore ed oggettivamente strumentale rispetto all’esecuzione dell’obbligazione tributaria, la quale, per l’appunto, comporta l’incasso delle somme spontaneamente versate dal soggetto passivo e il conseguente obbligo di riversarle all’ente impositore di competenza.

Tuttavia, vale la pena chiarire che la qualifica assunta dai gestori delle strutture ricettive esula dall’ambito della responsabilità d’imposta, sicché il gestore è un terzo rispetto all’obbligazione tributaria ed il suo coinvolgimento avviene ad altro titolo, ossia quale destinatario di obblighi formali e strumentali all’esazione del tributo comunale.

Ne discende che il rapporto tributario intercorre esclusivamente tra il Comune (come soggetto attivo) e colui che alloggia nella struttura ricettiva (soggetto passivo), mentre il Comune si rapporta con il gestore non come soggetto attivo del rapporto tributario, bensì quale destinatario giuridico delle somme incassate dal gestore a titolo di imposta di soggiorno, nell’ambito di un rapporto completamente avulso dal rapporto tributario, sebbene ad esso funzionalmente orientato e correlato.

Incaricati della riscossione: la natura è quella degli agenti contabili

Il quadro normativo di riferimento si completa con il necessario richiamo alla norma generale sancita dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 74, comma 1, e R.D. n. 827 del 1924, art. 178, i cui principii sono peraltro ribaditi nel T.U.E.L. n. 267 del 2000, che, in particolare, all’art. 93, comma 2, recita: “il tesoriere ed ogni altro agente contabile che abbia maneggio di pubblico denaro o sia incaricato della gestione dei beni degli enti locali, nonché coloro che si ingeriscano negli incarichi attribuiti a detti agenti devono rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti secondo le norme e le procedure previste dalle leggi vigenti”.

Si tratta di un principio generale dell’ordinamento, senza alcuna eccezione di carattere settoriale, che trova conferma anche nel D.Lgs. n. 118 del 23 giugno 2011, che nel dettare “disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni degli Enti locali e dei loro organismi”, dispone espressamente che: “Gli incaricati della riscossione assumono la figura di agente contabile e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti, a cui devono rendere il conto giudiziale. Agli stessi obblighi sono sottoposti tutti coloro che, anche senza legale autorizzazione, si ingeriscono di fatto, negli incarichi attribuiti agli agenti anzidetti.”

Si prevede, altresì, nella medesima prospettiva e a ulteriore conferma di quanto ora illustrato, che “gli agenti contabili devono tenere un registro giornaliero delle riscossioni e versare all’amministrazione per la quale operano gli introiti riscossi secondo la cadenza fissata dal regolamento di contabilità. Il regolamento di contabilità disciplina le modalità di esercizio del riscontro contabile e le modalità di riscossione e successivo versamento in tesoreria delle entrate a mezzo degli agenti della riscossione”.

Il giudizio espresso dalla Corte dei Conti

A ciò deve aggiungersi che anche la Corte dei conti ha affermato che “i soggetti operanti presso le strutture ricettive, ove incaricati – sulla base dei regolamenti comunali previsti dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 4, comma 3- della riscossione e poi del riversamento nelle casse comunali dell’imposta di soggiorno corrisposta da coloro che alloggiano in dette strutture, assumono la funzione di agenti contabili, tenuti conseguentemente alla resa del conto giudiziale della gestione svolta” (Sezioni riunite in sede giurisdizionale, n. 22/2016/QM del 8 giugno 2015, dep. 2016).

Tra il gestore della struttura ricettiva (o “albergatore”) ed il Comune si instaura un rapporto di servizio pubblico con compiti eminentemente contabili

E in tal senso giova anche richiamare il recente arresto in tema di imposta di soggiorno delle Sezioni Unite civili della Corte cassazione (ord. 19654 del 24/07/2018), secondo cui tra il gestore della struttura ricettiva (o “albergatore”) ed il Comune si instaura un rapporto di servizio pubblico con compiti eminentemente contabili, che implicano il maneggio di denaro pubblico. Ne consegue che ogni controversia intercorrente con l’ente impositore avente ad oggetto la verifica dei rapporti di dare e avere, e il risultato finale di tali rapporti, dà luogo ad un giudizio di conto, sul quale sussiste, pertanto, la giurisdizione della Corte dei Conti.

Insomma per farla breve, il gestore della struttura, incaricato della riscossione dell’imposta di soggiorno in esame, rivesta la qualità di incaricato di pubblico servizio, anche in assenza di un preventivo, specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, in considerazione della natura prettamente pubblicistica della sua attività.

Correttamente, quindi, la Corte di appello ha escluso l’ignoranza scusabile dell’imputato circa la sua natura di pubblico ufficiale, posto che non vi era alcun dubbio ragionevole che le somme andassero riversate al Comune.

Condanna, perciò, confermata in via definita!

La redazione giuridica

 

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