Come va provata la sussistenza della residenza anagrafica, nell’immobile adibito ad abitazione principale, per poter beneficiare dell’aliquota agevolata in materia di imposta sugli immobili?

La pronuncia della Sezione Tributaria della Cassazione in commento risale all’epoca dell’ICI ma detta criteri tutt’ora, ancora validi.
Il principio sul quale ruota la decisione della sentenza impugnata è che il contribuente è tenuto a dimostrare, ai sensi dell’art. 11 del Regolamento ICI, la sussistenza della residenza anagrafica nell’immobile adibito ad abitazione principale dell’interessato; e che per beneficiare della aliquota agevolata, si deve provvedere “alla presentazione entro il mese di giugno dell’anno successivo a quello d’imposta, di una comunicazione … attestante il possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi, utilizzando gli appositi moduli predisposti dal Comune; ed infine che l’aliquota agevolata non è applicabile a più unità immobiliari distinte catastalmente.
Per i giudici della Cassazione tali affermazioni sebbene in astratto valide, sono in concreto censurabili, sotto il profilo della violazione di legge nei termini che seguono.

La prova della residenza anagrafica

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza effettiva, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento; il relativo apprezzamento costituisce valutazione demandata al giudice di merito e sottratta al controllo di legittimità, ove adeguatamente motivata.
A tal proposito, le conclusioni espresse dal giudice dell’appello non tenevano conto delle prove acquisite, in ordine all’utilizzazione, da parte della contribuente e dei suoi figli, come abitazione principale, di entrambe le unità immobiliari oggetto di contestazione.
Non tenevano inoltre, conto del fatto che “il concetto di abitazione principale è fattuale e prescinde dall’elemento volontario proprio del domicilio e che, dunque, non è corretto dare rilievo unicamente alla non coincidenza tra dimora abituale e residenza anagrafica e che neppure è corretto affermare che il “concetto di abitazione principale è attribuibile esclusivamente alla residenza anagrafica” e che gli accertamenti anagrafici espletati dal Comune sono di ostacolo alla dimostrazione dell’utilizzo continuativo dell’abitazione quale dimora principale.
La detrazione di cui all’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 504/1992, il quale dispone che “per abitazione principale, si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”, non è indissolubilmente legata alla residenza anagrafica, e ciò non è affatto contraddetto ma semmai reso ancora più evidente dalla modifica normativa apportata dall’art. 1, comma 173, L. n. 296/2006 (Legge finanziaria 2009), a tenore della quale, si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo prova contraria che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per “l’abitazione principale”, prova che, deve riguardare l’effettivo utilizzo dell’unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo famigliare del contribuente (Cass. n. 14398/2010).

La prova attraverso la produzione documentale di bollette di utenze domestiche

Ebbene, nel caso in esame, la contribuente aveva inteso fornire la dimostrazione della ricorrenza dei requisiti richiesti per far sorgere il diritto alla particolare “detrazione” cui si riferisce l’azione dedotta in giudizio, attraverso la produzione di documenti, quali le bollette delle utenze relative alla rete idrica, elettrica e del gas, in quanto direttamente riferibili ai soggetti interessati.
E, poiché la normativa sopra richiamata non prevede alcuna limitazione circa la prova dell’utilizzo del bene che incombe sul contribuente, non essendo la stessa in alcun modo tipizzata, – per i giudici tributari della Cassazione –  tale prova può essere offerta, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di merito, con qualsiasi mezzo all’uopo idoneo, secondo le regole generali.

L’invio della comunicazione per l’agevolazione fiscale via fax

La CTR aveva inoltre erroneamente ritenuto che la circostanza che la comunicazione per l’applicazione delle aliquote ridotte e delle ulteriori detrazioni, con allegate dichiarazioni sostitutive di atto notorio, inviata dalla ricorrente all’ente impositore a mezzo fax, piuttosto che su apposito modello predisposto dal comune, come previsto dal Regolamento ICI, fosse per tale ragione, privo di rilievo giuridico.
Ma al riguardo la giurisprudenza della Suprema Corte ha già chiarito che se è vero che l’autocertificazione sostitutiva dell’atto notorio, ha attitudine certificativa e probatoria in alcune procedure amministrative, ciò non esclude affatto l’ammissibilità della produzione di atti notori con valore indiziario, quali documenti facenti fede solo riguardo alla data, all’esistenza ed alla provenienza delle dichiarazioni in esse scritte, anche se non quanto all’attendibilità delle dichiarazioni medesime, da ritenersi soggette al vaglio del giudicante, che deve tenere conto di ogni elemento da cui possa desumersi la maggiore o minore veridicità delle stesse (Cass. n. 3724/2010).

Applicazione dell’agevolazione per più di una unità immobiliare

Quanto poi, all’applicazione dell’agevolazione per più di una unità immobiliare, la CTR aveva affermato che ciò è possibile solo ove il contribuente abbia proceduto al preventivo accatastamento unitario, non bastando la circostanza che gli immobili siano utilizzati congiuntamente come abitazione principale.
Ebbene, anche questa affermazione a detta degli Ermellini non è corretta. “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI) il contemporaneo utilizzo di più unità catastali non costituisce ostacolo all’applicazione, per tutte, dell’aliquota agevolata prevista per l’abitazione principale, sempre che il derivato complesso abitativo utilizzato non trascenda la categoria catastale delle unità che lo compongono, assumendo rilievo a tal fine non il numero delle unità catastali, ma l’effettiva utilizzazione ad abitazione principale dell’immobile complessivamente considerato, ferma restando la spettanza delle detrazione prevista dal comma 2 dell’art. 8, d.lgs. n. 504 del 1992 una sola volta per tutte le unità”.
E’ con tali affermazioni che i giudici della Suprema Corte hanno concluso il giudizio di legittimità, rinviando la causa nuovamente alla corte d’appello per un nuovo esame di merito.

La redazione giuridica

 
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