Il contratto di apprendistato è una forma di impiego a tempo indeterminato finalizzata alla formazione e all’occupazione giovanile. All’interno di questa tipologia contrattuale rientrano tre sotto fattispecie:

1.l’ apprendistato finalizzato ad ottenere la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore in ambito lavorativo valido per i giovani dai 15 ai 25 anni compiuti;

2.l’apprendistato c.d. professionalizzante, per i giovani dai 18 e i 29 anni compiuti, finalizzato ad apprendere un mestiere o a conseguire una qualifica professionale;

3. Ed infine, l’apprendistato di alta formazione e ricerca, per i giovani dai 18 e i 29 anni compiuti, che ha come fine il conseguimento di titoli di studio universitari o di alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, i diplomi relativi ai percorsi degli istituti tecnici superiori, per attività di ricerca nonché per il praticantato per l’accesso alle professioni che prevedono l’iscrizione ad un ordine

Da un punto di vista fiscale, assumere giovani con tale tipologia contrattuale è vantaggioso per le aziende, innanzitutto perché con le innovazioni introdotte nel D.lgs. 81/2015  è previsto un esonero retributivo totale per la formazione esterna ed una percentuale del 10% per la formazione interna, stabilito dalla contrattazione collettiva di riferimento; il trattamento contributivo è agevolato fino all’anno successivo alla prosecuzione dell’apprendistato come ordinario rapporto subordinato a tempo indeterminato ed inoltre, l’apprendista non “conta” per quanto riguarda il rispetto di alcuni limiti numerici posti dalla legge o dai contratti a carico delle aziende.

La materia del contendere oggetto della controversia in esame è un contratto di apprendistato stipulato tra la lavoratrice ricorrente e il proprio datore di lavoro; cosicché la Cassazione ha colto l’occasione per fornire alcune precisazioni al riguardo.

Il caso

L’attrice era dipendente di una pizzeria. Era stata assunta con regolare contratto di lavoro; aveva citato in giudizio il proprio datore di lavoro, titolare della pizzeria, al fine di ottenere il riconoscimento della giusta qualificazione giuridica del rapporto intrattenuto tra l’ottobre del 2000 e gennaio 2006 come rapporto di lavoro subordinato.

Ma per ben due volte la sua istanza era stata rigettata, dapprima dal Tribunale di Foggia e successivamente dai giudici della Corte territoriale di Bari.

Già il primo giudice aveva ritenuto che la prestazione fornita dalla ricorrente fosse inquadrabile in una ipotesi di partecipazione a una impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c., e che pertanto nulla le spettasse per il periodo sino a gennaio 2006.

Per il periodo successivo era stato stipulato tra le parti un contratto di apprendistato (con decorrenza 1 febbraio 2006) conclusosi per recesso datoriale, rispetto al quale spettavano alla lavoratrice le differenze retributive non percepite dal recesso alla scadenza. La sentenza del Tribunale era stata, poi, confermata in appello.

La donna presentava così ricorso per Cassazione, denunciando l’erronea qualificazione del rapporto di lavoro come compartecipazione all’impresa familiare, e l’esclusione, altrettanto erronea, di un rapporto lavorativo tra le parti per il periodo antecedente al contratto di apprendistato.

Investiti della vicenda in esame, i giudici della Cassazione hanno colto l’occasione per fornire alcuni chiarimenti in materia.

Per i giudici della Cassazione “il contratto di apprendistato, anche nel regime normativo di cui alla L. n. 25 del 1955, si configura come rapporto di lavoro a tempo indeterminato a struttura bifasica, nel quale la prima fase è contraddistinta da una causa mista (al normale scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge l’elemento specializzante costituito dallo scambio tra attività lavorativa e formazione professionale), mentre, nella seconda, soltanto residuale, perché condizionata al mancato recesso ex art. 2118 c.c., il rapporto (unico) continua con la causa tipica del lavoro subordinato; ne consegue che, nel caso di licenziamento intervenuto nel corso del periodo di formazione, è inapplicabile la disciplina relativa al licenziamento “ante tempus” nel rapporto di lavoro a tempo determinato” (Cass. 17373/2017; Cass. n. 5051/2016)

La sentenza impugnata aveva perciò fatto corretta applicazione dei principi richiamati.

Deve peraltro rilevarsi che, se anche il rapporto fosse stato correttamente qualificato a tempo indeterminato, lo stesso sarebbe cessato per effetto del recesso datoriale, come accertato dalla stessa Corte con la conseguente evidente carenza di attuale interesse in capo al ricorrente rispetto al motivo di censura.

Sono queste le ragioni che hanno spinto i giudici Ermellini a respingere il ricorso e a confermare la decisione impugnata.

La redazione giuridica

 

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