La persona obesa che vive all’ultimo piano di un condominio ha diritto di installare, a proprie spese,  un ascensore all’interno dello stabile, anche senza approvazione assembleare

Due coniugi, proprietari di un appartamento all’ultimo piano di un condominio sito in Roma, agivano in giudizio contro l’intero edificio per veder accertato il proprio diritto alla installazione di un ascensore all’interno del medesimo stabile
La richiesta era giustificata dalle loro non buone condizioni di salute. A tal proposito i ricorrenti, avevano presentato un progetto tecnico per l’istallazione di siffatto ascensore nella tromba delle scale, che peraltro avrebbero voluto realizzare integralmente a loro spese; ma tutte le volte avevano trovato il diniego del Condominio, il quale riteneva la loro richiesta non giustificata, non trattandosi di persone disabili e dunque di opera diretta al superamento delle barriere architettoniche e, in ogni caso, in base alla L. 13/89, in assenza di un’autorizzazione assembleare, il condominio avrebbe potuto procedere autonomamente e a proprie spese solo all’installazione di servoscala o di altre strutture mobili facilmente amovibili, ma non anche di un ascensore.
Il Tribunale capitolino, investito della contesa in esame, ha ritenuto di dover accogliere l’azione presentata dai due coniugi per le seguenti ragioni.

Il riferimento normativo

L’installazione in un Condominio di un ascensore di cui esso sia sprovvisto – a cura e a spesa di uno dei condomini – va inquadrata nell’uso della cosa comune ex art. 1102 c.c. e, quindi può essere consentita nella misura in cui non alteri la destinazione della cosa e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Al riguardo, è ormai prevalente l’orientamento giurisprudenziale per cui la norma dell’art. 1120 primo comma c.c. -che richiede determinate maggioranze per l’approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini – non può trovare applicazione nella ipotesi in cui l’onere della innovazione sia stato assunto da un solo condomino, o solo da alcuni, per lo specifico ed esclusivo loro interesse alla realizzazione dell’opera.
La ratio dell’art. 1120 c.c., è, infatti, quella di assicurare una qualificata maggioranza per l’approvazione di quelle innovazioni che necessariamente – per la impossibilità di utilizzazione separata, come previsto dall’art. 1121 c.c., devono gravare sulla totalità dei condomini, anche dissenzienti.
Nella diversa ipotesi in cui sia un singolo condomino (o un gruppo di essi) a voler realizzare l’innovazione, non può che trovare applicazione l’art. 1102 c.c., in forza del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, ed a tal fine – purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il diritto comune – può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa stessa.

La decisione

Ebbene per il Tribunale di Roma, l’applicazione alla fattispecie concreta dell’art. 1102 c.c., consentiva di escludere la necessità di una delibera assembleare di autorizzazione, giacché la realizzazione della innovazione costituisce esplicazione di un diritto del singolo condomino, il quale può richiedere direttamente al giudice di accertare che l’opera non travalichi i limiti normativi predetti.
Peraltro, l’espletata CTU aveva dichiarato che l’intervento richiesto dai due ricorrenti per l’installazione dell’ascensore garantiva la conservazione del decoro architettonico e l’estetica complessiva dell’edificio interessato, garantiva, inoltre, il godimento delle parti comuni, in particolare dei pianerottoli e delle scale ad ogni singolo condomino, non comportava alcuna riduzione della larghezza delle scale, non creava situazione di pericolo, né alterava la fruibilità delle stesse scale.

Ma vi era un altro punto.

Secondo l’assunto difensivo del Condominio, la richiesta di installazione dell’ascensore non poteva essere accolta perché avanzata da persone non affette da disabilità. Ebbene tale circostanza per il giudice di primo grado è assolutamente destituita di fondamento.
Ciò in quanto, per disabilità si intende la presenza di una menomazione fisica o psichica che indica lo svantaggio personale che la persona affetta da tale menomazione vive, non solo nel contesto lavorativo.
L’handicap è, invece, la conseguenza della disabilità: con il termine handicap si vuole indicare, infatti lo svantaggio sociale vissuto dalla persona a causa della menomazione di cui è affetta.
Ebbene il certificato medico prodotto dalla attrice era inequivocabile: ella, ultrasessantacinquenne, era portatrice di handicap e come tale rientrava nella situazione di gravità prevista dalla L. n. 104/1992. La disabilità di cui era affetta (obesità, artrosi al ginocchio e altro) senza altro aveva ripercussioni sulla sua sfera di movimento.
Per tutte queste ragioni è stato riconosciuto il diritto degli attori di costruire a loro spese, l’impianto dell’ascensore all’interno del condominio convenuto in giudizio.

La redazione giuridica

 
Leggi anche:
PAVIMENTO SCIVOLOSO: IL CONDOMINIO RISARCISCE I DANNI

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui