Ai fini del riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità, la valutazione deve essere ancorata non alla generica riduzione della pura e semplice capacità di lavoro, ma piuttosto alla riduzione di tale specifica capacità in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato

L’assegno ordinario di invalidità

In materia di riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui la sussistenza del requisito posto dalla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, concernente la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, deve essere verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentano una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente, in quanto costituiscono una naturale estrinsecazione delle attitudini dell’assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l’adattabilità professionale al nuovo lavoro, senza esporre l’assicurato ad ulteriore danno per la salute (Cass. n. 10424 del 2015; Cass. n. 5964 del 2011).
Pur essendo, dunque, l’invalidità ancorata non più alla capacità di guadagno ma a quella di lavoro, il riferimento alla capacità attitudinale comporta una valutazione di qualità e condizioni personali e soggettive dell’assicurato, cui rimane conferita una tutela rispettosa dei precetti costituzionali di cui agli artt. 38, 32, 2, 3 e 10 Cost.
La nuova nozione di invalidità pensionabile è ancorata non alla generica riduzione della pura e semplice capacità di lavoro quale dato meramente biologico, ma piuttosto alla riduzione di tale specifica capacità in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato, sempre che non si tratti di lavori usuranti che affrettino ed accentuino il logoramento dell’organismo per essere sproporzionati alla residua efficienza psicofisica (Cass. 15 gennaio 2018, n. 740).

La vicenda

Nel 2012 la Corte d’appello di Bari aveva riconosciuto il diritto del ricorrente all’assegno ordinario di invalidità a decorrere dal 1 novembre 2008.
Contro tale decisione l’INPS aveva proposto ricorso per Cassazione denunciandone la totale infondatezza.
Ed invero, i giudici della Cassazione hanno accolto il ricorso affermando che la valutazione dell’invalidità pensionabile operata dalla Corte d’appello, sulla base delle sintetiche conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, prescindeva del tutto dalla necessaria parametrazione delle patologie alla capacità lavorativa specifica dell’assicurata.
La sentenza risultava perciò viziata per aver omesso di precisare le ragioni per le quali il complesso morboso limitava, nelle percentuali previste dalla legge, non solo l’attività svolta di operaio tessile ma anche altre occupazioni che l’assistito, per condizioni fisiche, preparazione culturale ed esperienze professionali, sarebbe stato in grado di svolgere in alternativa al lavoro rispetto al quale era risultato inidoneo.

La redazione giuridica

 
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