Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante il periodo di assenza per malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede

Il licenziamento è stato inevitabile: il suo datore di lavoro lo aveva sorpreso a svolgere altre lavorative attività per conto di terzi, durante il periodo di assenza per malattia
Tali attività erano consistite nella guida di automezzi e nell’esecuzione di operazioni di carico/scarico di cerchi in lega per autovetture, che ne avevano compromesso o ritardato la guarigione.
Ma per il lavoratore si trattava di una vera e propria ingiustizia. In particolare, questi, si doleva del fatto che la corte territoriale avesse ritenuto che anche una condotta potenzialmente idonea a compromettere o ritardare la guarigione, quale quella delineata dal consulente d’ufficio all’esito delle proprie indagini, potesse integrare la giusta causa di recesso; di conseguenza trascurando, di ricercare e di accertare i fatti che al contrario, avrebbero potuto dimostrare in concreto (e non solo in astratto) la sussistenza, di tale nesso di causalità.
Ricorreva, perciò, in Cassazione, ma invano, perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Il principio di diritto

Come più volte ribadito nella giurisprudenza di legittimità, “lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio”.
Il principio è stato correttamente richiamato dalla corte di merito, la quale aveva, peraltro, positivamente accertato come la condotta imputata al lavoratore fosse stata tale, anche in concreto, da ritardare la guarigione, avendo osservato che egli “guidando autovetture e sollevando cerchi in lega nei giorni in cui era stato sorpreso a svolgere tale “altra” attività, aveva “disatteso la prescrizione medica” e che “ai successivi controlli medici non veniva riscontrata la guarigione, tanto che la riammissione i servizio poteva avvenire soltanto successivamente dall’originaria previsione”.
Per tutti questi motivi il ricorso è stato rigettato e condannato il lavoratore al pagamento delle spese di giudizio.

La redazione giuridica

 
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