Spetta al destinatario l’onere di provare di essersi trovato senza colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza degli atti interruttivi della prescrizione

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 355/2018 ha fornito degli interessanti chiarimenti in merito alla validità degli atti interruttivi della prescrizione.

Protagonista della vicenda esaminata un avvocato che aveva reiteratamente comunicato alla Cassa Forense dei dati reddituali falsati. Il legale, in tal modo, aveva nascosto  una parte, non modesta o irrisoria, del suo volume di affari, integrando una omissione contributiva.

Sia in primo grado che in appello, i Giudici avevano respinto il ricorso del professionista contro la cartella esattoriale che aveva ricevuto. Il provvedimento gli intimava il pagamento di una somma per omesso versamento di contributi alla Cassa Forense, oltre somme aggiuntive.

Il termine di prescrizione, per l’omissione contributiva, decorre dal momento in cui la Cassa di categoria viene a conoscenza dell’ammontare dei redditi effettivamente conseguiti dal professionista. Quindi, in seguito alla comunicazione dell’amministrazione finanziaria.

La Corte di Appello aveva evidenziato che erano intervenuti validi atti interruttivi del decorso del termine prescrizionale. Il riferimento, in particolare, è a una lettera raccomandata inviata che, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, avrebbe costituito prova certa della spedizione. Doveva infatti presumersi l’arrivo al destinatario, se quest’ultimo non dimostrava di non averne avuto conoscenza senza colpa.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’avvocato ha evidenziato come la sospensione del decorso della prescrizione non sia determinata dalla qualificazione soggettiva della condotta.

Questa peraltro inizierebbe a decorrere dal momento di spedizione del modello contenente i dati reddituali. Solo da tale momento, a suo avviso, la Cassa avrebbe potuto esercitare l’attività di controllo.

Inoltre, secondo la difesa, la raccomandata non avrebbe validamente interrotto il nuovo termine. Negli atti, infatti, non era stato prodotto alcun avviso di ricevimento.

La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto infondate tali argomentazioni respingendo il ricorso. In particolare, in relazione alla validità degli atti interruttivi della prescrizione, gli Ermellini hanno ribadito quanto già evidenziato in precedenti sentenze di legittimità.

Secondo una consolidata giurisprudenza, infatti, la lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione. Questa è attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta.

Ne consegue la presunzione di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza dello stesso. Spetta quindi a quest’ultimo l’onere di dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto.

 

 

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