Cacciatore condannato per aver ucciso un cinghiale in modo crudele. Ecco la sentenza della Cassazione n. 35536/2017 sul reato di ‘uccisione di animali’.

La Cassazione ha confermato la condanna di un cacciatore per il reato di “uccisione di animali”. Il cacciatore aveva infatti ucciso un cinghiale con “modalità crudeli”, oltretutto in un luogo in cui la caccia era vietata.

Il caso

Un cacciatore, mentre percorreva una strada di notte, ha avvistato un cinghiale. Per ucciderlo, lo ha abbagliato con i fari della macchina, l’ha investito, e infine lo ha finito dopo avergli inflitto numerose coltellate.
Il cacciatore condannato in primo e secondo grado per il reato di “uccisione di animali”, di cui all’art. 544 bis cod. pen., è ricorso in Cassazione.

Il ricorso in Cassazione

Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero tenuto in considerazione il fatto che l’imputato aveva presentato dei segni di morsicatura che erano evidentemente riferibili al cinghiale poi ucciso.
Di conseguenza, secondo il ricorrente, non poteva essergli addebitata nessuna responsabilità, in quanto l’uccisione del cinghiale era avvenuta “in condizioni di stato di necessità”.

La sentenza della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione non gli ha dato ragione e ha rigettato il ricorso del cacciatore condannato.
Osservava la Cassazione che nel caso di specie l’imputato, “volontariamente investendo col proprio veicolo la bestia successivamente da lui uccisa a colpi di coltello” avrebbe causato lui stesso la situazione di pericolo poi indicata come “stato di necessità”.
Ciò considerato, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall’imputato, ha confarmato integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.
 
 
 
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