Cassazione penale, sez. II, sentenza 18/02/2015 n° 7082
Il proprietario che porta a passeggio il proprio cane deve ridurre il più possibile il rischio che questi possano lordare i beni di proprietà di terzi quali i muri di affaccio degli stabili o i mezzi di locomozione ivi parcheggiati. A chiarirlo è stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7082/2015

Firenze. Il caso riguarda un uomo che, mentre stava facendo una passeggiata, ha “permesso” al proprio cane di urinare sul muro di un edificio nel centro storico di Firenze.
Il proprietario dell’edificio ha dichiarato che l’immobile è stato dichiarato di valore storico architettonico e che, quindi, le facciate dello stesso non dovevano essere imbrattate. Per tale ragione ha deciso di denunziare il proprietario del cane ex art. 639, 2° comma, del codice penale (deturpamento e imbrattamento di cose altrui).
Il Giudice di Pace ha dato ragione al proprietario del palazzo.
Il Tribunale di Firenze ha, invece, accolto l’appello del padrone del cane in quanto lo stesso ha versato immediatamente dell’acqua per ripulire la macchia provocata dall’urina del cane.

La questione approda in Cassazione ove viene evidenziata una forte contrapposizione tra la tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi conduce animali da compagnia sulla pubblica via: situazioni, sottolinea la Corte, inserite in un panorama costituito da elementi come la convivenza, il rispetto civile, la tolleranza e il malcostume.
La Suprema Corte non ha ritenuto fondato il ricorso proposto dal proprietario dell’edificio.

I Giudici di legittimità hanno corroborato la tesi del Giudice d’Appello del Tribunale di Firenze in quanto «dall’istruttoria svolta nel corso del giudizio di primo grado è risultato provato che il cane di proprietà dell’odierno imputato abbia orinato sul muro della facciata dell’edificio dichiarato di notevole interesse architettonico e lo abbia momentaneamente macchiato. Tuttavia va osservato che il reato contestato all’Imputato (art. 639 co. 2 c.p.) è un delitto, per la cui configurabilità è richiesta la sussistenza del dolo anche generico. ….[…].. Oltretutto è la stessa persona offesa che dichiara che dopo che il cane aveva orinato, si era preoccupato di ripulire la parte del muro imbrattata, versandovi dell’acqua, circostanza questa incompatibile con la volontà di imbrattare il muro. A ciò va aggiunto che è del tutto inverosimile che il…[….] abbia indotto il suo animale a sporcare il muro con l’urina, in quanto da un lato è emerso pacificamente che l’imputato aveva con sé una bottiglietta ed ha usato li liquido ivi contenuto per pulire il muro ed inoltre viene in considerazione un istinto fisiologico del cane che il suo padrone non avrebbe potuto orientare ».

La Cassazione ha ritenuto di svolgere sulla questione esaminata un doveroso esame in punto di diritto non solo ai fini di giustizia ma in quanto la stessa coinvolge interessi diffusi nella vita quotidiana nella quale si contrappongono i diritti e gli interessi di milioni di persone divisi tra la legittima tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi accompagna animali da compagnia sulla pubblica via.
E infatti viene evidenziato che “ Si tratta di rapporti, interessi ed esigenze talvolta contrapposti che si inseriscono in un più ampio quadro di convivenza, di rispetto civile, di tolleranza ma anche di malcostume di fronte ad un fenomeno che non può essere sottaciuto in quanto parte della realtà quotidiana soprattutto nei grandi agglomerati urbani”.

La Corte, poi, analizzando gli elementi oggettivo e soggettivo del reato di cui all’art. 639 c.p., si sofferma ad analizzare il rapporto tra dolo eventuale e colpa cosciente, richiamando le argomentazione delle Sezioni Unite esposte nella recente pronunzia n. 38343 del 24/04/2014.
Traslando i principi della suddetta pronunzia, nel caso concreto vengono evidenziati ulteriori aspetti.
a) è un dato di comune esperienza che il condurre un cane sulla pubblica via apre la concreta possibilità che l’animale possa imbrattare con l’urina o con le feci beni di proprietà pubblica o privata;
b) è però anche un dato di comune esperienza che, per quanto l’animale possa essere stato bene educato, il momento in cui lo stesso decide di espletare i propri bisogni fisiologici è talvolta difficilmente prevedibile trattandosi di un istinto non altrimenti orientabile e, comunque, non altrimenti sopprimibile mediante il compimento di azioni verso l’animale che si porrebbero al confine del maltrattamento nei confronti dello stesso;
c) ancora, è un dato di comune esperienza che i cani non esplicano i propri bisogni fisiologici all’interno degli appartamenti o degli altri luoghi chiusi di privata dimora, con la conseguenza che i possessori dei predetti animali che risiedono in agglomerati urbani si vedono necessitati a condurli sulla pubblica via con tali finalità: non sempre le Autorità locai sono in grado di predisporre luoghi appositi ove detti animali possano espletare i loro bisogni fisiologici e comunque non può essere escluso che gli animali decidano (con tempi e modalità che, come detto, non è possibile inibire) di espletare tali bisogni altrove o prima del raggiungimento dei luoghi a ciò deputati.

Ciò che compete a chi conduce sulla pubblica via gli animali è , dunque, di evitare e ridurre il più possibile il rischio che questi possano sporcare i beni di proprietà di terzi quali i muri di affaccio degli stabili od i mezzi di locomozione ivi parcheggiati.
Sia chiaro, sottolinea la Corte, che ciò, al di là dei possibili aspetti sanzionatori (in chiave penale od amministrativa) delle condotte, deve essere frutto primario del rispetto dei principi di civiltà e di educazione che debbono più in generale caratterizzare le condotte di chiunque è chiamato ad interagire con terzi ed a convivere con essi in società.
Assodato, dunque, che la possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa quindi imbrattare beni di proprietà di terzi è un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile.
Ciò che si può, quindi, richiedere a chi è necessitato a condurre un cane sulla strada è solo un corretto controllo di tale rischio.

Il comportamento del padrone del cane è corretto se riduce il più possibile il rischio (prevedibile ma non evitabile) che l’animale possa sporcare i beni di proprietà di terzi.
Il padrone deve quindi vigilare attentamente sui comportamenti dell’animale, limitandone la libertà di movimento in modo che il cane desista -quanto meno nell’immediatezza- dall’azione.
In conclusione, questo il vademecum della Cassazione per chi conduce il cane sulla strada:
• il proprietario deve mettere in atto una attenta vigilanza sui comportamenti dell’animale;
• deve limitarne libertà di movimento in modo che non sia totale (se del caso tenendolo con un guinzaglio);
• deve intervenire con atteggiamenti tali da farlo desistere – quantomeno nell’immediatezza – dall’azione;
• nell’impossibilità di vietare al cane di fare pipì è bene portarsi dietro una bottiglietta d’acqua per ripulire. Diversamente, il proprietario o il conducente potrà essere imputato di «sciatteria o imperizia nella conduzione dell’animale».

Avere una cane è una scelta individuale e non della collettività, ecco perché nella sentenza esaminata vengono stabilite una serie di regole per garantire una pacifica armonia tra tutti.

Avv. Emanuela Foligno – Foro di Milano

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui