Integra il reato di falso materiale in atto pubblico l’alterazione di cartelle cliniche mediante l’aggiunta di una annotazione, ancorché vera, ma in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale

Falso ideologico e falso materiale, sono questi i reati ascritti ad un medico in servizio presso l’unità operativa di ortopedia e traumatologia di un ospedale italiano. L’imputato avrebbe intenzionalmente falsificato la date delle cartelle cliniche nelle quali annotava le visite fatte in reparto; tutte recavano una data successiva a quella reale.

Fu un altro medico in servizio presso lo stesso ospedale a denunciare i fatti, chiedendo l’immediato intervento degli inquirenti. Come mai quelle cartelle cliniche riportavano una data che non combaciava con le visite da egli stesso effettuate?

Il processo

Il procedimento si svolgeva col rito abbreviato. All’esito del giudizio di primo grado, il GUP era pervenuto ad affermare la penale responsabilità dell’imputato alla luce delle dichiarazioni testimoniali e della documentazione in atti.

Dalle indagini era altresì risultato come – sulle medesime cartelle – fossero state successivamente apposte annotazioni in rettifica, a firma dell’imputato, con le quali si dava atto della mera erronea indicazione della data riferita ai precedenti interventi in reparto; annotazioni da ritenersi anch’esse mendaci, in quanto recanti attestazioni non conformi al vero, poiché finalizzate all’apparente emendatio delle precedenti dichiarazioni di cui era stata già rilevata la falsità.

Il processo proseguì in Cassazione (sent. n. 55385/2018). La difesa continuava a sostenere che il giudice di merito avesse “esagerato” nel qualificare quei fatti come penalmente rilevanti. Si trattava, al contrario, di un mero errore materiale.

Il parere della Cassazione

In prima battuta, i giudici della Cassazione ribadiscono che secondo il consolidato orientamento di legittimità, la cartella clinica redatta da un medico di un ospedale pubblico ha la natura di atto pubblico, che esplica la funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici rilevanti, sicché i fatti devono esservi annotati contestualmente al loro verificarsi.

Senonché, le attestazioni rese dal pubblico ufficiale mediante annotazione su cartella clinica – e sui documenti che vi accedono, quali il diario clinico e la scheda di dimissioni ospedaliere – debbono rispondere ai criteri di veridicità del contenuto rappresentativo, di completezza delle informazioni, di immediatezza della redazione rispetto all’atto medico descritto e di continuità delle annotazioni, in quanto finalizzate ad asseverare, con fede privilegiata, non solo la verbalizzazione dell’atto medico, ma anche la successione cronologica degli interventi, delle diagnosi, della prognosi e delle prescrizioni.

Ne deriva che tutte le modifiche, le aggiunte, le alterazioni e le cancellazioni integrano falsità in atto pubblico e perciò, sono punibili in quanto tali (Sez. 5, n.1098/1998; Sez. 5, n.31858/2009; Sez. 4, n.37925/2010).

Non ha alcuna rilevanza che il soggetto abbia agito per ristabilire la verità effettuale, in quanto le cartelle cliniche acquistano carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione, così da uscire dalla sfera di disponibilità del loro, autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata, trattandosi di atto avente funzione di “diario” della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, la cui annotazione deve avvenire contestualmente al loro verificarsi (Sez. 5, a n.37314/2013).

Sul piano psicologico, vale ad integrare il reato in parola, il mero dolo generico. Esso – aggiungono i giudici Ermellini – non costituisce un’ipotesi di “dolus in re ipsa“, in quanto l’elemento soggettivo deve essere comunque (rigorosamente) provato. Il reato di falso, è escluso, qualora si provi che esso derivi da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (Sez. 3, n.30862/2015; Sez. 5, n.29764/2010).

 

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