Per definire una causa eziologica ignota bisogna passare attraverso il “peso” del nesso di causa e dei preziosismi giuridici spesso legati alla necessità di dare un “colpo al cerchio e uno alla botte”!

Causa eziologica ignota e onere della prova a carico del danneggiato. È un argomento in voga da qualche mese (o meglio da quasi un anno) sul quale la Cassazione, in poche pronunce, si è espressa in senso “anti-danneggiato” e, a nostro parere, a motivo di un’apparente voglia di rendere la responsabilità sanitaria tutta di tipo extra contrattuale.

Vediamo il perché.

Il perché della causa eziologica ignota che rimane a carico del creditore paziente ha una sua logica intrinseca che era assolutamente ricompresa nel filone giurisprudenziale degli ultimi 10 anni.

Capostipite dell’attuale tendenza “razionale” parte dalla sentenza Scoditti che motiva perché sia prima l’attore a dover dimostrare il nesso di causa tra danno lamentato e inadempimento del sanitario/struttura e poi del convenuto dare prova dell’impossibilità alla prestazione.

In verità si tratta di un vero gioco di parole che la Suprema Corte di Cassazione ha consolidato negli anni secondo il seguente sintetico principio (tratto sempre dalla succitata sentenza):

“…nella giurisprudenza di questa Corte si rinviene tuttavia anche l’enunciazione del principio di diritto secondo cui nel giudizio di risarcimento del danno conseguente ad attività medico-chirurgica, il paziente danneggiato ha l’onere di provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza (o aggravamento) della patologia e di allegare l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando invece a carico del medico e/o della struttura sanitaria la dimostrazione che tale inadempimento non si sia verificato, ovvero che esso non sia stato causa del danno”.

Si tratta di “preziosismo” la dimostrazione “cronologica” del nesso di causa tra inadempimento e danno e la relativa impossibilità alla prestazione riferita alla causa ignota in quanto si ruota sempre sulla dimostrazione del collegamento causale tra un atto medico, che rappresenta l’evento dannoso, e il danno lamentato dall’attore. E il fulcro è rappresentato dal peso di tale nesso di causa come vedremo di seguito.

Si legge nella Sentenza Scoditti (18392/2017):

“…c’è inadempimento se non è stata rispettata la diligenza di cui all’art. 1176, comma 2, c’è imputabilità della causa di impossibilità della prestazione se non è stata rispettata la diligenza di cui al comma 1. Nel primo caso la diligenza mira a procurare un risultato utile, nel secondo caso mira a prevenire il danno (la distinzione è tuttavia relativa perché l’una può determinare il contenuto dell’altra)…

“…emerge così un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla impossibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità tra l’insorgenza della patologia (o aggravamento) e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto). …. Conseguenzialmente la causa eziologica ignota resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere…”.

In conclusione, tutto il dotto dire (incontestabile nella teoria) del Consigliere Scoditti si può riassumere sinteticamente nel modo seguente:

“Il nesso eziologico tra condotta sanitaria ed evento dannoso viene a costituire onere della prova a carico del danneggiato, nel senso che questi è tenuto a prospettare detta relazione causale alla stregua di criteri rispondenti a leggi scientifiche o fondati su presunzioni logiche e dunque astrattamente idonei a fondare l’accertamento della causalità materiale ex articoli 40 e 41 del Cp, in quanto in concreto l’assunto dimostrativo dovrà essere verificato in giudizio alla stregua degli elementi istruttori acquisiti. Se la verifica avrà avuto esito positivo insorgerà allora l’onere della prova del medico convenuto, diretto a contestare il proprio inadempimento colpevole o a dimostrare la riferibilità esclusiva del danno all’esistenza di una causa determinante estranea alla sfera di controllo del medico”.

A questo punto non si può non riportare un eccellente estratto della recente sentenza firmata dal Consigliere Marco Rossetti (n. 4024/2018) che risulta illuminate per valutare le conclusioni alle quali sono giunti i giudici di merito e della stessa Corte di Cassazione nelle recenti sentenze dove per l’appunto si parla di causa eziologica ignota:

“… – Il nesso di causa tra un condotta illecita e un danno può essere affermato non solo quando il secondo sia stato una conseguenza certa della prima, ma anche quando ne sia stato una conseguenza ragionevolmente probabile.

– La ragionevole probabilità che quella causa abbia provocato quel danno va intesa non in senso statistico, ma logico: cioè non in base a regole astratte, ma in base alle circostanze del caso concreto.

– Ciò vuol dire che anche in una causa statisticamente improbabile può ravvisarsi la genesi del danno, se tutte le altre possibili cause fossero ancor più improbabili, e non siano concepibili altre possibili cause.

…Accertato ciò, in fatto, la Corte aveva concluso che sulla causa del danno fossero formulabili solo delle mere ipotesi, e che di conseguenza la prova del nesso non fosse stata raggiunta.

Così giudicando, tuttavia, la Corte d’Appello – dice la S.C. – è incorsa in tre errori, che costituiscono altrettante false applicazioni dell’art. 2043 CC.

– Il primo errore è consistito nel ritenere che una mera ipotesi non sia sufficiente a fondare un giudizio di causalità. Per quanto detto, infatti, anche un evento improbabile può, in concreto e nella singola, specifica vicenda processuale, ritenersi “causa” d’un evento, se tutte le altre possibili cause siano ancor meno probabili.

– Il secondo errore è consistito nel ritenere non provato il nesso eziologico tra materiale e danno per il solo fatto di essersi trovata dinanzi a più cause possibili ed alternative.

Per quanto detto, infatti, dinanzi a plurime e possibili cause alternative del danno il Giudice non può sottrarsi al compito di stabilire quale tra esse debba ritenersi quella “più probabile” in concreto ed in relazione alle altre, e non già in astratto ed in assoluto.

– Il terzo errore è consistito nell’avere affermato che le varie ipotesi causali potevano essere anche “concorrenti” e non averne poi tenuto conto nell’accertamento della causa più probabile.

Per quanto detto, infatti, nel concorso tra cause umane (nella specie, l’ipotizzato difetto di fabbricazione) e cause naturali (le escursioni geotermiche o l’umidità) la responsabilità civile non viene meno né si attenua, sul piano della causalità materiale (altro e diverso discorso afferendo al diverso piano della causalità giuridica)…”.

Simili errori hanno fatto i giudici di merito delle relative cause decise poi in Cassazione con l’esclusione del nesso di causa per eziologia ignota.

Insomma, seppur si ritiene assai raro affermare l’impossibilità di risalire eziologicamente alla causa della c.d complicanza o evento avverso, per cui si ritiene che solo un errore dei consulenti tecnici o un errore di interpretazione da parte dei giudici delle conclusioni medico legali degli stessi consulenti, stiano alla base di tale apparente inversione della giurisprudenza di Cassazione ….

Quando succede un “guaio” sanitario, che solitamente si definisce complicanza o evento avverso, gli step in ordine cronologico sono i seguenti:

  • Prestazione sanitaria (diagnosi, cure ed indicazioni al trattamento)
  • Evento dannoso (omissivo o commissivo)
  • Conseguenza dannosa costituita dalla morte del paziente o stabilizzazione dell’invalidità permanente

Quindi se parte tutto dall’atto medico ci si domanda:

  • Nelle rare ipotesi di causa eziologica ignota come fanno tutte le parti ad adempiere ai loro oneri probatori?
  • Perché il concetto consolidato nella giurisprudenza di cassazione negli ultimi 10 anni deve subire tale modifica impropria così come descritta nelle recenti sentenze di Cassazione e perché il nesso di causa tra inadempimento o inadeguato adempimento del sanitario il paziente non lo può presumere solo secondo il criterio della possibilità scientifica?
  • Quindi perché un paziente a fronte di un intervento/cura di routine a seguito del quale si verifica un evento avverso non possa affermare che questo sia dovuto all’intervento stesso e quindi all’atto medico per imperizia, imprudenza o negligenza anche nell’impossibilità di risalire alla causa etiologica visto che rappresenta la parte del contratto la più lontana dalla possibilità di fornire la prova?

Insomma, si ritiene che nulla sia cambiato in giurisprudenza e nulla cambierà. Tali recenti sentenze (che si commenteranno prossimamente alla luce della citata sentenza Rossetti e della più recente sentenza Sestini) hanno solo esplicitato la differenza teorica tra inadempimento di un dovere di comportamento e la negligenza di non aver messo in atto comportamenti che impediscano la conservazione della possibilità di adempiere (bel gioco di parole!).

Ma alle domande di cui sopra chi può dare una giusta risposta? Si ritiene di sì ma siamo convinti che solo il Legislatore potrà meglio definire i punti oscuri della responsabilità sanitaria?

Carmelo dr. Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

 

Leggi anche:

ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA GIUSTIZIA … DEL TRIBUNALE DI MILANO!

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui