Il commento del vice segretario nazionale della Federazione, Pier Luigi Bartoletti, alla sentenza della Corte dei Conti dell’Umbria secondo cui in caso di certificazione di malattia ‘facile’, a pagare potrebbe essere anche il medico di famiglia

“E’ ineludibile la necessità di rivedere un modello che scarica sul medico di famiglia le inefficienze di un sistema caricandolo di oneri e responsabilità burocratiche sempre più collidenti con il suo impegno di medico, togliendo tempo ed energia al lavoro clinico”.

E’ il commento del vice segretario nazionale vicario della FIMMG, Pier Luigi Bartoletti alla recente sentenza della Corte dei Conti dell’Umbria che “addossa la colpa al medico di famiglia, reo di aver certificato la malattia di un dipendente pubblico, giudicandolo corresponsabile della condotta dolosa del dipendente che ha simulato, anche attraverso documentazione clinica, un lungo periodo di malattia”.

Secondo  la Fimmg, quindi, è urgente una rivisitazione del sistema di responsabilità connesso alla certificazione. “E’ ora che l’autocertificazione dei primi tre giorni, da disegno  che giace da anni alle Camere, diventi legge”.  Questo aiuterebbe a responsabilizzare il lavoratore e a dare ai medici certificatori la possibilità di lavorare con più serenità concentrandosi sulle malattie più serie e diagnosticabili.

“Mentre nel codice penale militare è un reato simulare un “infermità” per evitare il servizio ed ingannare il medico militare, sembra che tra i “civili” – prosegue Bartoletti –  farsi “buggerare” da un furbacchione diventi una colpa per il tapino che ci capita. Oltre l’amarezza nel leggere tali cose, rimane il fatto che si evidenzia una inefficienza dei controlli, che però non viene nominata. In sei mesi di malattia perlomeno qualcuno avrà verificato fiscalmente la presenza o meno di tali patologie, se nessuno l’ha fatto c’è da chiedersi perché, se qualcuno invece l’ha fatto allora cosa c’entra il medico di famiglia?”

Per il vice segretario nazionale “sparare sul più debole della filiera di responsabilità in merito alla certificazione è un pericoloso modo di fare”.

In tal modo si “intimorisce chi tutti i giorni, certificando la malattia, tutela un diritto del cittadino, innescando così pericolose quanto umane dinamiche difensive a scapito sia del cittadino che del sistema stesso”

“È un fatto che tutta la certificazione di malattia ricada sulle spalle della nostra categoria, determinando un considerevole aggravio di compiti e responsabilità senza alcuna tutela nei confronti di eventuali furbacchioni, ma anzi pure il rischio di essere condannati per avere in buona fede certificato una malattia. Bisogna rivedere la materia e la norma – conclude Bartoletti – perché, se stare a casa e curarsi è un diritto del lavoratore, questo non può diventare un incubo per chi lo deve certificare” .

 

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