Chirurgia estetica: anche l’insuccesso o il parziale successo di un intervento di “routine” o comunque, con alte probabilità di esito favorevole, implica la prova del nesso di causa tra la condotta del sanitario e il danno al paziente

Come noto, la chirurgia estetica, per sua natura, non è mai una prestazione d’urgenza, quanto piuttosto una chirurgia di elezione latamente terapeutica, che implica problematiche di consenso informato e specifico ancor più cogenti e delicate

La vicenda

L’attrice aveva dedotto di essersi rivolta al convenuto nel settembre 1997 per la esecuzione di un intervento di mastoplastica riduttiva bilaterale al seno. Ebbene, il sanitario le aveva garantito un esito soddisfacente dell’intervento; ed invece l’operazione sortiva un effetto esteticamente disastroso, con evidente asimmetria delle mammelle e forma irregolare delle stesse.

Cosicché il chirurgo estetico per rimediare la sottoponeva a n. 7 interventi al seno, tra il 1998 ed il 1999.

Nello stesso anno, la donna decideva anche di sottoporsi ad un intervento estetico alle labbra, ed anche questo sortiva esiti assolutamente insoddisfacenti.

Si rivolgeva pertanto, al giudice civile al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti al seno e alle labbra, a causa della condotta imperita del convenuto.

Il processo di primo grado

Dalla espletata ctu era stato possibile accertare che il chirurgo “omise di eseguire una adeguata anamnesi sulla paziente, non rilasciò alcuna copia del documento di consenso all’intervento, non indicò alla paziente (per quanto ella aveva dichiarato) quale tipo di intervento intendesse praticarle e non la informò su quali sarebbero state le possibili complicanze degli atti chirurgici poi praticati, né le rilasciò alcuna certificazione medica descrittiva di quanto eseguito. Ciò in evidente contrasto con ogni dovere deontologico e giuridico di comportamento”.

 «Tanto più che la chirurgia estetica, per sua natura, non è mai una prestazione d’urgenza, quanto piuttosto una chirurgia di elezione latamente terapeutica, che implica problematiche di consenso informato e specifico ancor più cogenti e delicate».

Non soltanto. Sul piano sostanziale, si trattava di un intervento del tutto ordinario, che non implicava certo la soluzione di problemi di speciale difficoltà tecnica.

Nessun dubbio inoltre, vi era in ordine ai danni cagionati alla paziente: i due seni apparivano, dopo l’intervento del 1997, estremamente difformi tra loro, sia per posizionamento che per aspetto morfologico.

Tanto è bastato all’adito tribunale, per ritenere la condotta professionale del medico censurabile sia sotto il profilo della diligenza che della perizia.

Analoghe considerazioni sono state prospettate in relazione agli interventi successivi al volto ed alle labbra; in quest’ultimo caso, con l’aggravante – di aver utilizzato per via iniettiva una sostanza (il silicone) il cui uso è da anni espressamente “vietato” proprio a causa delle reazioni tissutali (granulomi da corpo estraneo con reazioni fibrotiche secondarie) che con facilità esso produce.

Sul piano valutativo medico-legale, il giudice di primo grado, ha anche preso in considerazione i profondi disagi psicologici che l’intera vicenda aveva provocato nella paziente che, a seguito dei ripetuti interventi aveva sviluppato una sindrome ansioso-depressiva reattiva, sino alla strutturazione di una vera e propria dismorfofobia.

Inferenze negative si erano anche manifestate nella vita privata e nel rapporto di coppia di quest’ultima.

Ebbene, muovendo dal principio recentemente riassunto dal Tribunale Milano, sez. V, 22/04/2009, n. 5322 secondo il quale “in tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto o del contatto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per l’effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile”, sono stati riconosciuti alla donna 23.475,00 a titolo di risarcimento complessivo del danno subito.

La redazione giuridica

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