Alla base vi sarebbero ingiustificati timori medico legali, abitudini consolidate e la limitata condivisione dei rischi con i pazienti

“L’utilizzo routinario di test preoperatori per la chirurgia elettiva non incide sulla gestione chirurgica e il riscontro di risultati falsamente positivi genera un ulteriore sovra-utilizzo di prestazioni, come terapie inappropriate, consulti specialistici ed esami invasivi che possono determinare danni ai pazienti. Inoltre, i conseguenti sprechi non sono dovuti solo all’eccesso di esami, ma anche ai ritardi generati nel processo chirurgico”. Ad affermarlo è il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta.
Secondo Gimbe, consistenti evidenze scientifiche internazionali e nazionali evidenziano l’eccesso di esami che vengono effettuati prima degli interventi chirurgici programmati: indagini che fanno crescere i costi determinando sprechi, diretti e indiretti conseguenti al loro sovra-utilizzo. Alla base di tale surplus diagnostico vi sarebbero ingiustificati timori medico-legali, abitudini consolidate e la limitata condivisione dei rischi con i pazienti.
La linee guida del Nice, prendendo in considerazione lo stato fisico del paziente secondo le classi di rischio Asa (American Society of Anesthesiologists) e la complessità dell’intervento chirurgico (minore, intermedia, maggiore), forniscono le raccomandazioni per i test diagnostici come un semaforo: rosso (non di routine), giallo (raccomandato in casi particolari), verde (sempre raccomandato).
“La linea guida Nice – sottolinea Cartabellotta – raccomanda di includere i risultati di tutti i test pre-operatori effettuati dal medico di famiglia quando si richiede un consulto chirurgico, oltre che considerare tutti i farmaci assunti dal paziente prima di effettuare qualsiasi test pre-operatorio, proprio per evitare inutili duplicazioni di esami, in particolare quelli eseguiti per specifiche comorbidità o terapie assunte dal paziente”.
Un ulteriore aspetto rilevante indicato nelle linee guida è la necessità di accertare lo stato di gravidanza, visti i rischi per la madre e per il feto determinato dagli anestetici e dalla procedura chirurgica, associati a un aumentato rischio di aborto spontaneo: infatti, il 5,8% delle gravide ha un aborto spontaneo dopo un intervento chirurgico e la percentuale sale al 10,5% se l’operazione viene effettuata durante il primo trimestre. Paradossalmente, evidenzia la Fondazione, nella chirurgia elettiva il sovra-utilizzo dei test di routine convive con il sotto utilizzo di procedure standardizzate per accertare lo stato di gravidanza, incluso il test nei casi dubbi.
“L’articolo 5 della legge 24/2017 sul rischio clinico fa riferimento – conclude Cartabellotta – alla tutela medico-legale del professionista che si attiene a ‘linee guida elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie e, in assenza di queste, da buona pratiche clinico-assistenziali’. In attesa del rilancio del Sistema nazionale linee guida, riteniamo che le raccomandazioni del Nice, prodotte con metodologia estremamente rigorosa, rappresentino un riferimento, oltre che per guidare i comportamenti professionali e per informare correttamente i pazienti, anche per la tutela medico-legale”.

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