Ecco i cinque ‘inviti a non fare’ dal punto di vista medico-legale rivolti a medici e medici legali da parte della società scientifica Comlas.

Sono ispirati alle raccomandazioni statunitensi del Choosing Wisely (scegliere con saggezza) le 5 “Pratiche a rischio d’inappropriatezza di cui medici e pazienti dovrebbero parlare”.

A stilare l’elenco è la Società Scientifica dei Medici Legali delle Aziende Sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale – COMLAS, che ha aderito al progetto “Fare di più non significa fare meglio – Choosing Wisely Italy”.

Quest’ultimo è stato varato nel 2012 da “Slow Medicine”, associazione per una medicina più sobria, rispettosa, giusta.

Ebbene, anche Comlas, così come altre 42 associazioni, ha stilato un elenco di 5 prassi da evitare da punto di vista medico-legale. Scelte ben precise che devono essere improntate al principio del Choosing Wisely.

Infatti, fa notare Comlas, molti sono gli aspetti medico-legali che permeano quotidianamente la pratica clinica di tutti i professionisti della sanità.

E, in particolare, quando le persone assistite entrano in contatto con i servizi erogati dalle Aziende sanitarie.

Qualche esempio? Le richieste di consenso informato, in primis. Così come tutte le questioni riguardanti la responsabilità sanitaria o l’invalidità civile.

Purtroppo però, spesso accade che ci sia poca conoscenza sulla prospettiva di queste tematiche da parte degli specialisti del settore che se ne occupano quotidianamente.

Ecco il perché di queste 5 regole stilate da Comlas, mirate a identificare prassi consolidate ma inutili e costose, delle quali parlare con i pazienti.

Le cinque prassi da evitare

In primis, non bisogna promuovere la cultura del “consenso informato” come mero strumento burocratico e di autotutela del professionista.

Come ricorda Comlas, l’atto medico-chirurgico è subordinato al consenso della persona cui l’atto è destinato.

Inoltre, l’informazione preventiva all’acquisizione del consenso deve essere resa in modo chiaro e comprensibile.

E’ infatti un dovere del medico adoperarsi per verificare che la persona abbia acquisito consapevolezza.

Infatti, sottoporre al paziente modulistica di CI in carenza di una adeguata informazione non è utile al paziente. E nemmeno alla difesa del professionista in caso di contestazioni.

Il secondo punto riguarda la prescrizione di accertamenti clinici finalizzati alla valutazione della disabilità già clinicamente accertata.

Questi vanno senz’altro evitati, per non contribuire ad allungare le già congestionate liste d’attesa con prestazioni inappropriate. Una scelta che va anche nella direzione di una gestione consapevole delle risorse pubbliche.

Terzo punto: non favorire il ricorso a pratiche di medicina difensiva.

La disciplina medico-legale si deve impegnare per supportare la cultura dell’appropriatezza clinica e dell’evidenza scientifica. Elementi che devono costituire i criteri di riferimento della condotta professionale. Il tutto allo scopo di contrastare le prescrizioni “a scopo medico-legale”.

Il quarto punto riguarda il non redigere consulenze e perizie non aderenti ai criteri medico-legali. Oppure, che siano incomplete nell’analisi tecnico-scientifica dei problemi clinici.

Questo in quanto va sempre seguito un metodo di alto livello qualitativo. Che sia affidabile e che rifugga da valutazioni personali o basate solo sull’esperienza.

Inoltre, ci si impegna ad affidarsi solo a evidenze certe, oggettive e oggettivabili, ripetibili, verificabili. E che abbiano il consenso della comunità scientifica nazionale e internazionale.

Infine, Comlas raccomanda di non redigere pareri di parte in tema di responsabilità professionale sanitaria tali da indurre false aspettative nella parte assistita. Ciò in quanto le consulenze non aderenti alla realtà sono strumenti inutili nella dialettica processuale.

Comlas ha poi ricordato che le “Top 5” Choosing Wisely sono state redatte nel 2015. Già allora riportavano  i principi costituzionali ribaditi dalla recente Legge 22 dicembre 2017, n. 219. Ovvero, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (DAT)”.

La novità più consistente, ora, consiste nell’aver definitivamente tutelato il diritto all’autodeterminazione del paziente. E questo anche quando egli esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza.

 

 

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