Uno studio statunitense evidenzia che una concentrazione troppo alta nel sangue di Hdl – il cosiddetto colesterolo buono – fa crescere il rischio di problemi cardiovalscolari

Uno studio americano condotto presso la Emory University School of Medicine di Atlanta, smonta il mito del grasso Hdl, ovvero il cosiddetto colesterolo buono, amico di cuore e arterie.

La sigla Hdl sta per lipoproteine ad alta densità. Al contrario del colesterolo cattivo Ldl (lipoproteine a basse densità), tali proteine sono considerate protettive. Ciò in quanto sono incaricate di ‘smaltire’ il colesterolo, trasportandolo dal sangue e dalle pareti arteriose dei vasi al fegato, da dove viene eliminato dall’organismo.

“Tradizionalmente i medici hanno detto ai loro pazienti che più ce n’è meglio è – affermano gli autori del lavoro -. Ma i dati della nostra ricerca dicono che non è così”. Dallo studio è infatti emerso che livelli molto alti di Hdl aumentano il rischio di attacchi cardiaci o morte per cause cardiovascolari.

I ricercatori hanno analizzato la relazione fra i livelli di colesterolo Hdl e rischio di infarto e morte in quasi 6 mila persone.

I partecipanti, in gran parte cardiopatici con età media 63 anni, sono stati divisi in 5 gruppi in base alle concentrazioni di Hdl nel sangue: meno di 30 mg/dL, 31-40 mg/dL; 41-50 mg/dL; 51-60 mg/dL, più di 60 mg/dL.

Durante un follow-up mediano di 4 anni, il 13% degli esaminati (769) ha avuto un attacco di cuore o è morto per cause cardiovascolari. Gli studiosi hanno calcolato che i pazienti con colesterolo Hdl fra 41 e 60 mg/dL erano quelli a rischio minore.

Le probabilità di infarto/decesso risultavano invece aumentate sia fra chi aveva livelli bassi di Hdl (sotto ai 41 mg/dL) sia fra chi li aveva molto alti (sopra ai 60 mg/dL). In quest’ultimo gruppo, in particolare, il pericolo di attacco di cuore o morte cresceva del 50% rispetto ai gruppi 41-60 mg/dL.

Le associazioni concentrazione di Hdl-rischio cardiovascolare sono state confermate anche al netto di possibili fattori confondenti. Tra questi: diabete, abitudine al fumo, livelli di Ldl, consumo di alcol, etnia, sesso.

I nuovi dati – sottolineano gli autori – supportano quelli già arrivati da numerosi studi su ampie popolazioni. Per i cardiologi, quindi, potrebbe essere il momento di cambiare visione sul colesterolo buono, considerandone anche l’altra faccia, più insidiosa.

 

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