In penale distinguere la colpa lieve dalla colpa grave non è sempre facile se non per evidenti percorsi terapeutici. Uno spunto sorto dalla lettura della sentenza di Cass. n. 37794/2018

La lettura, nella newsletter della famlinews, della sintesi della sentenza n. 37794/2018, sulla colpa grave e lieve, ha dato vita a un interessante contraddittorio tra specialisti medico legali sull’argomento in questione.

In breve il “succus” della sentenza e dei fatti come riportato nella newsletter:

I giudici hanno accolto il ricorso del medico perché nella motivazione della condanna non è stato specificato in modo chiaro ed esaustivo l’applicazione delle linee guida.

Il giudice non può condannare il professionista per lesioni gravi, affermando che si è posto “abbondantemente oltre i limiti delle linee guida” senza fare un’attenta valutazione del grado di colpa e della difficoltà della situazione. Lo ha sottolineato la Cassazione con la sentenza n. 37794 depositata il 6 agosto . Il caso esaminato riguardava un medico di pronto soccorso che non aveva disposto il ricovero immediato in un caso di “sospetta torsione del funicolo spermatico”.

La mancata tempestività dell’intervento aveva provocato la perdita del testicolo da parte del paziente. In primo grado e in appello il medico è stato condannato perché non avrebbe seguito le linee guida non avendo fatto ricoverare il paziente e non avendolo operato immediatamente anche se nel suo presidio non era presente l’ecodoppler necessario per poter confermare la diagnosi. I giudici della Cassazione hanno accolto il ricorso del medico perché la motivazione della condanna non era chiara nel senso che non è stato specificato in modo chiaro ed esaustivo il fatto che il medico si fosse discostato dalle linee guida. “La distinzione del grado della colpa – specificano i magistrati – quale discrimine tra la condotta penalmente rilevante o irrilevante avrebbe imposto un’analisi critica circa la corrispondenza della condotta concretamente individuata come rimproverabile alla colpa grave previa verifica dell’effettiva pertinenza nel caso concreto delle linee guida indicate dai periti ed, in ogni caso, dello scostamento della condotta del sanitario dalle predette linee guida e dalle buone prassi”.

Il fatto

Un paziente si era recato al pronto soccorso su consiglio della guardia medica per forti dolori all’addome e agli organi genitali con vomito. Il pronto soccorso ha effettuato una diagnosi di sospetta torsione del testicolo chiedendo una consulenza chirurgica dopo la quale il paziente era stato dimesso con indicazione di paziente asintomatico e prescrizione di controllo presso il medico generico. Ma i dolori al testicolo persistevano ed era comparso gonfiore alla sacca scrotale e il medico generico gli ha prescritto un esame ecografico.

Avendo questo però tempi lunghi il paziente ha consultato un urologo che ha prescritto antidolorifico e antibiotico, dandogli appuntamento per due giorni dopo. Al momento della visita l’esame ecografico ha evidenziato la torsione del testicolo sinistro e il paziente è stato operato d’urgenza per orchiectomia sinistra e impianto di protesti testicolare a sinistra con successiva diagnosi di necrosi testicolare sinistra da pregressa torsione del funicolo spermatico. La condotta omissiva del primo medico aveva comportato la perdita dell’uso di un organo o l’indebolimento permanente ma non la perdita della capacità di procreare.

Le linee guida

Secondo la Suprema Corte «l’introduzione, ad opera del d.l. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, c.d. decreto Balduzzi) del parametro di valutazione dell’operato del sanitario costituito dalle linee-guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali, con la più incisiva conferma di tale parametro ad opera della legge 8 marzo 2017, n. 24, ha modificato i termini del giudizio penale imponendo al giudice non solo una compiuta disamina della rilevanza penale della condotta colposa ascrivibile al sanitario alla luce di tali parametri ma, ancor prima, un’indagine che tenga conto dei medesimi parametri allorché si accerti quello che sarebbe stato il comportamento alternativo corretto che ci si doveva attendere dal professionista, in funzione dell’analisi controfattuale della riferibilità causale alla sua condotta dell’evento lesivo». 

La motivazione richiesta dalla legge

Ecco allora che «una motivazione che tralasci di indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, di valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri o di specificare di quale forma di colpa si tratti, se di colpa generica o specifica, eventualmente alla luce di regole cautelari racchiuse in linee-guida, se di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza, ma anche una motivazione in cui non sia appurato se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali non può, oggi, essere ritenuta satisfattiva né conforme a legge». E infatti, è compito del giudice di merito quello di «discernere se ci si trovi in presenza di colpa per imperizia piuttosto che per negligenza o imprudenza». Nel caso di specie la Corte di appello aveva adottato una motivazione certamente non chiara: e infatti aveva ritenuto che si trattasse di colpa specifica per negligenza ma anche di colpa per imprudenza, negligenza ed imperizia, secondo il profilo di colpa cosciente, con previsione dell’evento. Peraltro, «data la diversa incidenza del tipo di condotta colposa sulla disciplina della responsabilità penale, si tratta di motivazione non soddisfacente, tanto più che, nella specie, la condotta tenuta [dal medico], consistendo secondo quanto adombrato in un passo della motivazione in un’erronea diagnosi, accompagnata da una sottovalutazione dell’urgenza del caso e dall’omessa indicazione di un ricovero urgente per accertamenti strumentali, si sarebbe potuta ascrivere in parte al profilo della negligenza e, in parte, a quello dell’imperizia».

La graduazione della colpa (colpa grave e colpa lieve)

Inoltre, risulta imprescindibile «l’indicazione delle ragioni giustificative del giudizio di merito circa la graduazione della colpa, che secondo le più recenti normative costituisce il discrimine tra condotta penalmente rilevante e condotta non punibile ed è, in ogni caso, metro di valutazione del trattamento sanzionatorio».

Ecco, allora, che «spetterà […] al giudice di merito scandagliare la regola cautelare che utilizzerà come parametro di giudizio, indicare a quali parametri precostituiti tale regola sia riconducibile, verificare quindi se il caso concreto possa essere parametrato — linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali — e, solo allora, stabilire in quale misura e per quali ragioni il sanitario se ne sia discostato».

 

Ho sempre sostenuto che il legislatore dovrebbe scrivere più chiaramente le leggi affinché i giudici non debbano fare i legislatori. La legge Balduzzi e la legge Gelli-Bianco, certo, non sono delle leggi scritte bene, e questo crea una confusione che spesso prende una piega definitiva abbastanza opposta alle intenzioni del legislatore. E’ il caso della sentenza delle sezioni Unite penali del 2018 che nell’interpretare la Legge Gelli-Bianco ha reintrodotto il concetto della colpa lieve che il legislatore ha chiaramente inteso di voler abolire eliminandola dall’articolo 590 cp, in quanto concetto complesso e mal definibile.

Ma passiamo alla presente sentenza e, quindi, al concetto di colpa grave.

Ricevuta la newsletter ho così commentato:

“…Un medico, che in un caso dove serve urgenza di diagnosi per evitare il peggio, la trascura, è assolutamente negligente per cui va punito. Affermare che bisogna valutare l’entità dello scostamento dalle regole cautelari è come giocare al lotto e non ha senso in quanto incalcolabile razionalmente. La colpa grave per imperizia è tale anche per un errato gesto chirurgico (seppur involontario). Dire che esiste un discostamento lieve dalle linee guida o dalle buone pratiche cliniche non ha senso in quanto sono regole da rispettare per la salvaguardia del paziente (fino a prova contraria e al caso specifico)…”.

Ricevo la seguente risposta da un collega:

“Mi permetto di dissentire dal parere del collega “CG”. Il passo significativo della Sentenza è il seguente: “1.2 Una motivazione che tralasci di indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, di valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, o di specificare di quale forma di colpa si tratti, se di colpa generica o specifica, eventualmente alla luce di regole cautelari racchiuse in linee-guida, se di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza, ma anche una motivazione in cui non sia appurato se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali non può, oggi, essere ritenuta satisfattiva né conforme a legge”.

Come si vuole ulteriormente sottolineare, non può essere considerata conforme a legge una relazione medico legale che non misuri di quanto la condotta (o la non condotta) medico chirurgica si sia discostata dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali e questo mette al centro della formazione del convincimento del giudice l’operato del medico legale che, così, riprende a riassumere il ruolo di primo attore nelle procedure riguardanti la responsabilità medica. L’unico elemento che mi sembra la Cassazione non abbia considerato è il discorso del consenso, che è stato volutamente tenuto al di fuori dell’ambito normativo ex L. 24/17 e che ho sempre considerato un errore sia scientifico che etico”.

A questo punto faccio la seguente domanda al collega:

“Caro collega se mi sai spiegare come si valuta l’entità del discostamento dalle linee guida ne sarei felice. Senza essere generico però. Grazie di cuore”

Risposta del collega:

“Elementare. Ad esempio con i livelli di prova e di forza delle raccomandazioni. Un conto è disattendere una raccomandazione 1A e un conto è disattenderne una 5B. Spero di aver risposto alla domanda”.

Il collega allega anche un file che si riporta di seguito:

A questo punto si inserisce nella discussione un altro collega che afferma (e condivido):

“Valutando il rapporto causale qualsiasi inosservanza di metodo che implichi il verificarsi del fatto ovvero sia stata efficiente ancorché concausale può ritenersi grave”.

Il sottoscritto risponde al primo collega:

Premetto di essere molto d’accordo col collega BB, ma trovo adeguata teoricamente anche la risposta del collega RR, il quale però dovrebbe dirmi come si giudica quando:
– non ci sono linee guida,
– quando il caso specifico rende la raccomandazione 5b inutile come già lo è spesso di per sè
– quando non ci sono raccomandazioni così deboli.

Risposta del collega:

“Il nostro committente (giudice) ha bisogno di un elaborato da cui estrapolare gli elementi di giudizio che gli necessitano per creare un grado di convincimento (“level of confidence” degli autori anglosassoni) tale da assolvere l’imputato o per comminargli una pena. Siamo noi medici legali (con l’apporto del clinico esperto) a dover fornire quanto necessita. Quando le linee guida non esistono ci dobbiamo rifare alla buona pratica clinico-assistenziale.

Faccio un esempio: Viene dimesso in 7^ giornata un p”z sottoposto a rivascolarizzazione miocardica mediante by-pass che muore per tamponamento cardiaco dopo tre giorni. Una prima ecografia effettuata in 2^ evidenzia una raccolta pericardica non più controllata e alla dimissione non si procede al controllo del versamento pericardico.
Non esistono linee guida di riferimento ma la buona pratica clinico-assistenziale vuole che se quella raccolta fosse controllata prima della dimissione si sarebbe potuto e dovuto intervenire per contrastare l’evoluzione letifera della complicanza stessa”.

Nel frattempo si reinserisce il secondo collega:

“Mi pare che ricalchi la fattispecie che avevo ipotizzato. Nessuna indicazione codificata ma condotta negligente in ogni caso. Mi permetto di ricordare che siamo esercenti una professione intellettuale e non rigidi verificatori di paradigmi talora costruiti per surrogare l’esercizio della medicina studiata vissuta e ragionata”.

Risposta del primo collega al secondo collega:

“Giusta osservazione. LA FORZA DI UNA RACCOMANDAZIONE disattesa si desume ad esempio dalla sua efficacia nel contrastare l’evoluzione sfavorevole di una complicanza. Le esigenze del magistrato sono sempre state un mio cruccio e nei files allegati riassumo una metodica che potrebbe consentire di ridurre l’estensione del “non liquet”.

file 1 e file 2

Infine il sottoscritto domanda al collega se quella da lui descritta nel caso riportato fosse colpa grave o lieve.

Il collega risponde così:

“Le due facce della questione sono il discostamento dalle buone pratiche clinico/assistenziale che in questo caso (e in base alla letteratura è grave), ma le condizioni del malato erano molto gravi in termini di comorbilità quindi il nesso causale con il decesso orbita nella sfera del “più probabile che non”. NO RESP PENALE – SI RESP CIVILE”.

Cari lettori medico legali e giuristi, come vedete la discussione intavolata è alquanto interessante e la proposta del collega va tenuta in considerazione anche se “maneggiata con cura”, in quanto i casi di responsabilità sanitaria che possono risolversi in un mero raffronto del comportamento dei sanitari con la forza delle indicazioni delle linee guida rappresentano una percentuale minore rispetto a quella dei casi specifici (come quello indicato dal collega) dove valutare il discostamento dalla buone pratiche clinico-assistenziali (o meglio, best practice) è davvero difficile rappresentarlo come vogliono i Giudici di Cassazione che giudicano solo il ragionamento del ctu e non il contenuto in quanto non medici.

Rimango d’accordo con il collega che si è inserito in seconda battuta nel contraddittorio e mi piace ricordare che la causalità penale, ossia quella dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, non si discosta dalla c.d. “causalità efficiente”, ossia da quella condizione senza la quale non si sarebbe verificato il fatto lamentato.

E anche nel caso proposto dal collega come esempio esiste un vero errore di valutazione finale. Il collega afferma che in quello specifico caso esisterebbe una responsabilità civile e non una penale.

Perché è errato?

Perché il collega non valuta se l’omissione del sanitario, indipendentemente dalla grave comorbilità del paziente, ha anticipato il decesso o lo ha, da solo, provocato. Il ragionamento contro-fattuale si dovrebbe basare sul fatto che le cause naturali, senza l’omissione medica, avrebbero condotto a morte il paziente tre giorni dopo, oppure no. Tutto il resto non conta nulla, se non il giudizio contro-fattuale.

Dr. Carmelo Galipò
Pres. Accademia della Medicina Legale

 

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