Corte di Cassazione, sentenza n. 45928 dep. 19 novembre 2015.

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Rifiuto di atti d’ufficio. Il reato de quo è stato ritenuto sussistente a carico di un medico ospedaliero in servizio di reperibilità, che all’epoca dei fatti, contattato ripetutamente dal personale in servizio, per curare una bambina di nove anni sopraggiunta in ospedale con evidenti lesioni al braccio, omise di prestare il proprio servizio, preferendo piuttosto dare disposizioni telefoniche. L’episodio risaliva all’anno 2008, l’accusa: quella di “rifiuto di atto di ufficio” ex art. 328 c.p..

Come è stato possibile apprendere dagli atti di causa, la sera del 26 aprile 2008 una giovane paziente giungeva in ospedale con fratture ad un gomito e ad un polso, procurate a seguito della caduta da un fienile. Il dottore imputato del presente reato, reperibile per il reparto di ortopedia e traumatologia, omise di rendersi disponibile. Dai racconti emersi e dalle prove raccolte nei due gradi di giudizio, quest’ultimo, dopo esser stato ripetutamente contattato dal personale a lavoro, soltanto verso le ore 22.30 (più di mezz’ora dopo l’arrivo della bambina) e successivamente alle ore 00.30, rispondeva al telefono, dando disposizioni alle infermiere su come prestare le prime cure e, annunciando che al mattino seguente avrebbe proceduto all’intervento chirurgico. (che peraltro, riuscì perfettamente).

Secondo la Difesa, l’istituto della “pronta reperibilità” lascia all’operatore medico, la facoltà di decidere di volta in volta se trattasti del caso di tornare o meno in ospedale, in base all’urgenza della situazione manifestatagli. Al contrario, i giudici della Corte chiariscono che il servizio di pronta disponibilità è stato istituito al fine di assicurare un’assistenza sanitaria più efficace. In tal senso, esso non può ritenersi sostitutivo rispetto al cd. turno di guardia, ma integrativo dello stesso, a maggiore tutela dei pazienti. Di conseguenza, il medico “di turno”, deve sempre, concretamente e permanentemente essere reperibile. A maggior ragione, se la sua presenza è ripetutamente sollecitata, egli deve intervenire in reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati. Si comprende bene, dunque che il sanitario reperibile non può sottrarsi alla chiamata, ritenendo che non sussistano i presupposti dell’emergenza.

L’art. 328, comma 1, c.p., come è noto sanziona “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del proprio ufficio che, per ragioni di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo”. La nozione di rifiuto, secondo la Giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione implica un atteggiamento di diniego a fronte di una richiesta o comunque di una qualche sollecitazione esterna la quale può essere costituita anche dall’evidente sopravvenienza di uno dei presupposti oggettivi che richiedono l’intervento. A fronte di una urgenza sostanziale impostiva dell’atto, resa evidente dai fatti oggettivi posti all’attenzione del soggetto obbligato ad intervenire, non c’è dubbio che l’inerzia omissiva assuma intrinsecamente valenza di rifiuto ed integri quindi la condotta punita dalla norma. (Sez. VI – 20 febbraio 1998, Buzzanca), considerato che la volontà di non compiere l’atto può essere manifestata anche in maniera implicita.

Correttamente, pertanto, i giudici del merito hanno ritenuto l’imputato colpevole del reato ascrittogli, avendo accertato in fatto che egli, quale medico in servizio di reperibilità, pur essendovi obbligato per legge e, nonostante fosse stato ripetutamente sollecitato per telefono dal personale di turno, per visitare e curare la piccola paziente, omise di recarsi in ospedale, pur consapevole dell’’entità delle lesioni riportate da quest’ultima. Una siffatta condotta, invero, non costituisce mera inerzia, un semplice non facere; essa esprime, al contrario, in maniera implicita, per facta concludentia, il chiaro, quanto indebito, rifiuto dell’agente di compiere l’atto del suo ufficio: prestare la pronta e dovuta assistenza alla paziente ivi sopraggiunta e richiedente le sue cure. Se è vero dunque che il servizio di pronta disponibilità è stato istituito allo scopo di assicurare un’assistenza sanitaria più efficace, il medico di turno, non può rifiutarsi di intervenire.

Si da atto, dunque, che la sentenza in commento, nel dichiarare quanto sopra espresso, pare sottrarre al sanitario in turno di reperibilità, qualsiasi sindacato di discrezionalità e autonoma valutazione circa l’opportunità o meno del suo intervento; ponendosi al tempo stesso, in contrasto con alcune precedenti pronunce di senso opposto. (Per la configurabilità del reato di rifiuto di atti d’ufficio in materia sanitaria è necessario che la condotta si riferisca ad atti che per ragioni di sanità siano indilazionabili: ciò si verifica qualora ricorra la possibilità di conseguenze dannose dirette sul bene della sanità fisica o psichica del cittadino. Tale evenienza va valutata, pur senza trascurare la peculiarità di ogni singolo caso, in base alle indicazioni fornite dalla esperienza medica ed a quelle ricavabili dalla normativa relativa alla materia cui l’atto attiene: solo ad esito negativo dell’indagine così condotta può ritenersi sussistere per l’operatore la discrezionalità in ordine al rinvio dell’atto dovuto –Cass. Sez.VI, 97/3599).

Avv. Sabrina Caporale

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