Nel 2017 il GUP del Tribunale per i Minorenni di Catania condannava, alla pena complessiva di mesi uno e giorni dieci di arresto, all’esito di un giudizio abbreviato, un minore accusato del reato di porto abusivo di armi, di cui all’art. 699 c.p.
Appena tre anni prima, un controllo di polizia giudiziaria eseguito su di un’autovettura conduceva a scoprire che l’imputato, minorenne, portava nel proprio zaino un coltello a scatto lungo cm 16, di cui cm 7 di lama.
Per il giudice del capoluogo siciliano non vi erano dubbi che il minore fosse consapevole del disvalore di quell’atto, posto che tale consapevolezza rientra fra le nozioni di comune esperienza della generalità degli individui della sua età; e, nessun elemento positivo induceva a riconoscere in suo favore l’applicazione di circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso in appello
Contro la pronuncia era stato proposto appellato sia da parte dell’imputato che dalla pubblica accusa.
Il primo lamentava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio.
Il secondo sosteneva che la pena base era stata individuata in modo errato, e cioè sulla base dell’art. 699 c.p., comma 1, che sanziona il possesso di armi senza la necessaria licenza, mentre all’imputato era stato contestato il secondo comma del medesimo articolo, atteso che, per il porto di quel coltello, non era ammessa licenza.
Cosicché, la Corte di Appello di Catania-Sezione Minorenni – in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello del pubblico ministero, rideterminando la pena in mesi otto di arresto.
In effetti i giudici della Corte territoriale ebbero modo di rilevare che il coltello a scatto è un’arma bianca, per il cui porto non si può ottenere licenza, e quindi la fattispecie andava inquadrata nella configurazione autonoma di cui all’art. 699 c.p., comma 2, così come era stato originariamente contestato dalla pubblica accusa.
Invece nessun elemento poteva giustificare il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, giacché l’imputato, tra l’altro, aveva ottenuto la messa alla prova per un differente reato e l’esito di questa non era stato per nulla positivo.
Quanto alla pena inflitta, non poteva applicarsi il minimo edittale, trattandosi di imputato con un trascorso di uso di sostanze stupefacenti con dimostrata incapacità di resistere agli impulsi criminali e che portava con sé un’arma di indubbia pericolosità.
La vicenda finiva comunque davanti ai giudici della Cassazione.
Con un articolato motivo di ricorso il difensore del minorenne imputato denunciava l’errata valutazione della fattispecie contenuta nella sentenza impugnata.
Ed invero, la corte d’appello aveva riqualificato in senso peggiorativo il reato contestato, senza considerare che può definirsi “arma” soltanto il coltello che abbia le caratteristiche dello stiletto o del pugnale, per cui un coltello a scatto può definirsi come “arma” soltanto se, oltre all’estrazione automatica della lama ed al congegno di blocco, possieda anche una punta particolarmente acuminata o una lama a doppio filo; nella fattispecie il coltello era monofilo, per cui era soltanto un oggetto atto ad offendere.
Ma qual è il giudizio della Cassazione?
Ebbene per i giudici della Cassazione, il ricorso è fondato.
Il porto di armi
Reputa il Collegio che, ai fini della qualificazione del “coltello” quale arma propria o arma impropria, deve farsi riferimento, rispettivamente, alla presenza o all’assenza della punta acuta e della lama a due tagli, tipica delle armi bianche corte, mentre sono irrilevanti le particolarità di costruzione dello strumento; senza ignorare che esiste un diverso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il porto di un coltello a scatto, integra in ogni caso la fattispecie autonoma di reato di cui all’art. 699 c.p., comma 2, sul presupposto che si tratta di arma “bianca” propria, di cui è vietato il porto in modo assoluto, non essendo ammessa licenza da parte delle leggi di pubblica sicurezza. (Sez. 1 n. 12427 del 24/10/1994; Sez. 1 n. 2208 del 18/01/1995; Sez. 1 n. 392 dell’1/12/1999; Sez. 1 n. 22285 del 29/04/2004; Sez. 1, n. 45548 del 23/09/2015).
Si tratta, a ben vedere, di un orientamento basato sulla considerazione secondo cui proprio perché detto oggetto è munito di una lama azionata meccanicamente, mediante congegno a molla, esso assume le caratteristiche di un pugnale o di uno stiletto e non di semplice coltello, che è quello, invece, la cui lama ripiegata nel manico è estraibile soltanto con manovra manuale e non è munito di meccanismo che, una volta che la lama sia estratta, la fissi rigidamente al manico.
Dunque per gli Ermellini, l’unico orientamento che merita di essere seguito è il primo tra i due citati; anche perché conforme al parametro legislativo, rappresentato dal R.D. n. 635 del 1940, art. 45 (“Regolamento per l’esecuzione del Testo Unico 18 giugno 1931, n. 773 delle Leggi di Pubblica Sicurezza”), il quale recita nel seguente modo: “Per gli effetti dell’art. 30 della Legge, sono considerati armi gli strumenti da punta e taglio, la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili”.
Non sono considerati armi, per gli effetti dello stesso articolo, gli strumenti da punta e da taglio, che, pur potendo occasionalmente servire all’offesa, hanno una specifica e diversa destinazione, come gli strumenti da lavoro e quelli destinati ad uso domestico, agricolo, scientifico, sportivo, industriale e simili”.
La qualificazione di “coltello” quale arma, per la giurisprudenza
Peraltro, anche la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il comune coltello a serramanico (cioè l’utensile dotato di lama pieghevole nella cavità della impugnatura la quale, così, funge anche da guaina) costituisce strumento da punta e/o da taglio, ovverosia arma impropria, il cui porto ingiustificato, fuori della abitazione o delle relative appartenenze, è sanzionato ai termini della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4; mentre è arma propria (bianca), sicché il porto abusivo è punito ai sensi dell’art. 699 c.p., quella particolare specie di coltello a serramanico, detto coltello a molla, o molletta, ovvero, anche, coltello a scatto o coltello a scrocco, dotato di congegni che consentono la fuoriuscita della lama dal manico (senza la manovra della estrazione manuale) e il successivo bloccaggio della lama stessa in assetto col manico.
E, in ogni caso – aggiungono i giudici della Cassazione – in tutte le succitate sentenze e in numerose altre, relative alla qualificazione del coltello a scatto o a molla come arma propria, non si è mai mancato di correlare la qualificazione del coltello come arma propria alla attitudine del corpo del reato ad “assumere le caratteristiche di un pugnale o di uno stiletto”
In altri termini, si è detto che il coltello a serramanico o il coltello a scatto non costituiscono necessariamente un’arma (bianca) propria, per cui non è ammessa licenza, il cui porto fuori dall’abitazione integra il reato di cui all’art. 699 c.p., comma 2 (e non già comma 1): perché il fatto sia idoneo a realizzare il più grave reato punito, a titolo di fattispecie autonoma, dal secondo comma della norma incriminatrice, occorre che il coltello oggetto di porto abusivo – più che essere dotato di un congegno a scatto che consenta la fuoriuscita della lama dal manico senza la necessità di una manovra di estrazione manuale, e il successivo bloccaggio della lama stessa in assetto col manico – possieda le caratteristiche tipiche di un pugnale o di uno stiletto, rappresentate dalla presenza di una punta acuta e di una lama a due tagli.
Il relativo accertamento spetta al giudice di merito.
Nella fattispecie in esame, i giudici territoriali non avevano fatto buon governo del principio di diritto sopra richiamato. Ed invero, nelle sentenze impugnate si faceva soltanto cenno al fatto che il coltello sequestrato aveva le caratteristiche del coltello a scatto, senza verifica delle connotazioni della lama stessa (se cioè la stessa fosse o meno a punta acuta e a due tagli).
L’omesso accertamento in proposito ha comportato un vizio della motivazione, tale da giustificare l’annullamento della sentenza con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Catania – Sezione Minorenni – in diversa composizione.
La redazione giuridica
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