Si discute in ordine alla possibilità, per le parti, di vincolare l’efficacia del contratto di comodato all’uso del bene, senza necessariamente fissare un termine a scadenza

La giurisprudenza in materia di comodato

Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la disciplina positiva del comodato può ritenersi articolata secondo il duplice modello: 1) del comodato con prefissione di termine (per il quale l’art. 1803 c.c. stabilisce che la consegna della cosa essenzialmente gratuita avvenga per un tempo o per un uso determinato, di modo che il comodatario sia obbligato alla sua restituzione alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza, quando se ne è servito in conformità del contratto, e ciò, sempreché, non sopravvenga un urgente ed impreveduto bisogno del comodante che, in tal caso, può esigerne la restituzione immediata ex art. 1809);
2) e del comodato senza determinazione di durata, regolato dall’art. 1810 c.c., in base al quale se non è stato convenuto un termine, nè questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede.

Il comodato immobiliare: un tertium generis

Accanto ai due tipici modelli di comodato, è configurabile un tertium generis. Si tratta del contratto di comodato immobiliare con il quale le parti possono stabilire che la restituzione del bene da parte del comodatario debba avvenire nel “caso che il comodante ne abbia necessità”.
In tale ultima ipotesi, infatti, il comodato è da intendersi convenuto senza determinazione di tempo ma con l’espressa pattuizione che il potere di richiedere la restituzione dell’immobile (e dunque il recesso ad nutum) possa esercitarsi solo in presenza di una necessità di utilizzazione dell’immobile – nel senso di un bisogno di riavere la cosa per goderne in uno dei modi consentiti dal proprio titolo – che sia incompatibile con il protrarsi del godimento del comodatario.
«La specialità di tale figura atipica di comodato – affermano i giudici della Suprema Corte , non sta dunque nell’apprestare un particolare statuto giuridico che agisca sul profilo temporale del rapporto, ma nel rendere negoziabile il potere di restituzione, sottraendolo alla regola dell’esercizio discrezionale e facendo sì che il comodante possa farne uso solo al ricorrere delle condizioni convenute dalle parti.
In questo modo, il principio della libera recedibilità in tronco del rapporto, cede di fronte alla diversa volontà negoziale delle parti che intendono regolare lo scioglimento di esso per iniziativa del comodante secondo uno schema che salvaguarda l’assetto degli interessi da esse impresso al negozio, all’atto della sua costituzione».

E’ stato, perciò, enunciato il seguente principio di diritto:

In tema di comodato, nel caso in cui le parti abbiano vincolato l’efficacia del rapporto al venir meno dell’utilizzazione del bene concesso in godimento secondo gli accordi convenuti (ovvero al venir meno degli scopi statutari dell’ente comodatario), la circostanza che i termini dell’accordo non consentano di individuarne un’ipotesi di comodato con determinazione di durata, ai sensi dell’art. 1809 c.c., non comporta automaticamente la qualificazione del rapporto alla stregua di un contratto di comodato senza determinazione di durata con potere di recesso ad nutum del comodante, ai sensi dell’art. 1810 c.c.
Spetta al giudice di merito il compito di verificare se l’assetto di interessi individuato dalle parti non sia riconducibile a un accordo negoziale di natura atipica, meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., avente a oggetto la regolazione del potere del comodante di pretendere la restituzione del bene concesso in godimento, attraverso la sua sottrazione alla regola dell’esercizio discrezionale (ad nutum), in modo che lo stesso comodante sia autorizzato ad esercitarlo unicamente al ricorrere delle condizioni convenute dalle parti; ricorso, la cui dimostrazione incombe, in caso di contestazione, sul comodante”.

La redazione giuridica

 
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