La III Sezione civile della Cassazione (sent. n. 1070/2019) ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, con la quale la Consob era stata condannata a risarcire il danno agli eredi di un risparmiatore “truffato”

Citavano in giudizio la Consob dinanzi al Tribunale di Roma, tre ricorrenti, quali eredi della persona raggirata, chiedendo il risarcimento del danno subito a seguito delle indebite distrazioni delle somme di denaro, consegnate, per l’investimenti in titoli, dal proprio congiunto a un agente di cambio e alla società per la quale lavorava.

La colpa della Consob sarebbe stata quella di aver omesso di esercitare i poteri di controllo che le spettano per legge sugli agenti di cambio.

In verità, i fatti risalgono al 1994 eppure l’attività di vigilanza della Consob è cominciata solo a partire dal 1995. Non soltanto, ma per giunta quelli contestati erano diritti di credito diversi, spettanti a diversi ricorrenti.

Ebbene, secondo i giudici della Cassazione, la diversità dei diritti di credito azionati dai ricorrenti non fa venire meno la solidarietà passiva della Consob al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2055 c.c., essendo sufficiente ai fini della responsabilità solidale, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell’evento (dei quali, del resto, l’art. 2055 c.c. costituisce un’esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (Cass. n. 23918/2006).

Il punto di appoggio della solidarietà – chiarisce la Cassazione – risiede nell’unicità del fatto dannoso rispetto al quale non rileva la circostanza della diversità dei titoli di responsabilità.

Rispetto al fatto dannoso concorrono, infatti, la responsabilità contrattuale dell’agente di cambio e quella extracontrattuale della Consob.

L’obbligo giuridico di garante del risparmio

La Consob peraltro, nello stesso ricorso, rivendicava il fatto che in capo ad essa non esiste alcun obbligo giuridico di impedire l’evento e, pertanto, nessun nesso causale con la vicenda in esame poteva esserle imputata.

Sarebbe dunque errata l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale le norme di settore presidiate dalla vigilanza della Consob hanno la finalità di prevenire i reati che pregiudicano il patrimonio dei clienti dell’agente di cambio; dovendo ritenersi al contrario, l’opposta affermazione secondo cui tali norme hanno soltanto la finalità di tutelare il corretto andamento degli affari nel mercato borsistico e solo indirettamente gli investitori in titoli quotati, sicché esse non sono finalizzate alla prevenzione dei reati.

Cosa ne pensa la Cassazione?

Ebbene, secondo i giudici della Cassazione, il motivo è infondato.

All’epoca, infatti, la Consob aveva il compito:

a)       Di controllare il funzionamento delle operazioni di intermediazione e negoziazione su titoli quotati in borsa effettuate dai soggetti che operavano in borsa o esercitavano attività di intermediazione, avvalendosi a tal fine anche delle facoltà di richiedere la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, eseguire ispezioni, assumere notizie e chiarimenti, al fine di accertare l’esattezza e la completezza dei dati e delle notizie comunicati o pubblicati (l. n. 216/1974, art. 3, lett. g);

b)      Di adottare i “provvedimenti necessari per assicurare il regolare andamento degli affari nelle singole borse”, emanando a tal fine provvedimenti urgenti (D.P.R. n. 138/1975 art. 7);

c)       Di effettuare accertamenti in ordine alla regolarità delle operazioni di borsa, mediante l’esercizio di appositi poteri ispettivi (D.P.R. n. 138/1975 art. 10);

d)      Di accertare irregolarità o incompatibilità professionali dell’attività degli agenti di cambio o dei loro procuratori, dandone immediata comunicazione al ministero del Tesoro e dal consiglio dell’ordine per i provvedimenti di rispettiva competenza D.P.R. n. 138/1975 art. 13), ossia i provvedimenti disciplinari previsti dalla L. n. 402/1967, artt. 19 e ss.

e)      Di eseguire in qualsiasi momento ispezioni e controlli sulle singole borse al fine di accertare la regolarità ed i modi di finanziamento delle operazioni di intermediazione negoziazione effettuate dai soggetti che operano in borsa o esercitano attività di intermediazione (D.P.R. n. 252/1979, art. 25).

Tale disciplina non è stata intaccata dalla L. n. 1/1991 che ha attribuito alla Consob specifici compiti di vigilanza nei riguardi delle società di intermediazione mobiliare incrementando i poteri di vigilanza nei confronti degli agenti di cambio.

Il sistema dei controlli e relative sanzioni spettanti alla Consob doveva essere diretto alla tutela “dell’interesse alla correttezza del comportamento degli intermediari finanziari, per i riflessi che ne possono derivare sul buon funzionamento dell’intero mercato, essendo la Consob non soltanto organo di vigilanza del mercato dei valori …, ma anche organo di garanzia del risparmio pubblico e privato” (Cass. n. 6681/2011).

Ne deriva che il legislatore ha riconosciuto alla Consob il ruolo di “organo di garanzia del risparmio”.

Già nella sentenza n. 9067/2018 la Suprema Corte aveva, infatti, ribadito il principio secondo cui la società di vigilanza ha un vero e proprio obbligo giuridico di impedire o circoscrivere, nei limiti del possibile, il danno poi verificatosi a carico delle originarie parti attrici mediante l’esercizio dei propri poteri di vigilanza.

Nel caso in esame, il danno sarebbe perciò scaturito da una condotta dell’agente di cambio di cui la Consob, alla stregua del parametro di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, e a seguito della “notizia di irregolarità risalente al 1994”, avrebbe dovuto avvedersi, adottando, nel più breve tempo giustificabile in termini di osservanza del menzionato parametro di diligenza, le possibili contromisure.

Niente di tutto ciò è stato fatto. Perciò, la Cassazione conferma la decisione di merito, peraltro – aggiunge – basata su un ragionamento logico-fattuale insindacabile in sede di legittimità.

Sabrina Caporale

 

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