E’ consentito al CTU di acquisire ogni elemento necessario per rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti. Sempre però che si tratti di fatti e documenti “accessori”, in modo che comunque rimanga esclusa dalla consulenza disposta una “funzione vicariale della prova”.

Questo è il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con l’ordinanza n. 22116 depositata l’11 settembre 2018, con la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dalla Corte territoriale.

I fatti.

Una società consortile, per mezzo del suo liquidatore, richiede i soci il versamento di somme di denaro, dichiarando di essere creditore nei loro confronti per diverse ragioni.

Tale richiesta è stata contestata, da uno dei soci che ha proposto azione di accertamento negativo del debito preteso dal Consorzio. Nel costituirsi quest’ultimo ha domandato in via riconvenzionale il pagamento delle somme che già aveva richiesto.

Il giudice di prime cure accoglie parzialmente la domanda riconvenzionale formulata dal Consorzio, rideterminando la misura del debito sulla base delle risultanze di una CTU contabile espletata in proposito.

La Corte territoriale ha confermato la sentenza, respingendo i diversi motivi di impugnazione.

La società ricorre contro la pronuncia della Corte d’appello articolando tre motivi di cassazione.

Sulla pretesa nullità della CTU contabile.

Il primo motivo di ricorso investe la CTU, che è stata espletata nell’ambito del giudizio di prime cure, e si concentra sulla circostanza che il consulente ha acquisito “documenti da terzi in quanto mancanti agli atti”.

Secondo la società ricorrente, la Corte territoriale ha errato, ritenendo che la documentazione de qua “costituisca un mero elemento di riscontro di quanto già agli atti prodotto dalla società appellata”, con la conseguenza che le limitazioni di ci all’art. 198 c.p.c. non operano.

Ed infatti, i documenti acquisiti dal CTU “lungi dal poter essere considerati accessori devono invece considerarsi principali in quanto tesi a provare i presunti finanziamenti effettuati dal Consorzio nei confronti della resistente”.

Secondo la società ricorrente, con la sua interpretazione, il giudice d’appello ha svuotato di significato il disposto di cui agli artt. 194 e 198 c.p.c..

Ebbene, secondo gli Ermellini, che si rifanno a precedenti e costanti arresti giurisprudenziali la CTU ben può essere disposta anche per l’acquisizione di dati la cui valutazione sia poi rimessa all’ausiliario consulente (consulenza cd. percipiente). Inoltre, è anche consentito al CTU di acquisire ogni elemento necessario per rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti e documenti “accessori”, in modo che comunque rimanga esclusa dalla consulenza disposta una “funzione vicariale della prova” (cfr., ex plurimis, Cass. N. 20695/2013, Cass., n. 28669/2013; Cass., n. 3130/2011).

Correttamente, quindi, secondo la Cassazione la sentenza di secondo grado si è conformata a questo indirizzo.

Attiene, infatti, al merito, e pertanto non sindacabile in sede di legittimità, la questione relativa alla qualificazione dei documenti acquisiti dall’ausiliario in termini di “accessori” o, per contro, di “principali”.

E la riconduzione che è stata operata dall’impugnata sentenza, collegando in modi diretto i documenti acquisiti a quelli già prodotti dalle parti e definendo i primi come momenti di riscontro dei secondi, si manifesta senz’altro ragionevole.

E del resto la società ricorrente, pur affermando il carattere decisivo dei documenti acquisiti, non ha tuttavia indicato le ragioni che sostenevano tale suo convincimento.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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