Se da un lato si ritiene adeguato che il medico scelga la terapia (dopo aver fatto la diagnosi), dall’altro si ritiene assolutamente necessario che lo stesso faccia presente al proprio paziente principalmente la convenienza di agire in un modo rispetto ad un altro. E’ il caso della nostra assistita che vi presentiamo e i cui eredi hanno chiesto un tentativo di conciliazione tramite la procedura 696 bis cpc e sulla quale vi terremo aggiornati. In tale caso clinico oltre a mancare la prova dell’avvenuta informazione (manca completamente foglio di consenso in cartella) i figli stessi riferiscono che la madre si è posta con fiducia (e così deve essere!) nelle mani del medico che dopo un percorso diagnostico perfetto ha consigliato dapprima di procedere con cicli di CHT e successivamente alla asportazione del tumore al seno.

Secondo i nostri esperti è stata immotivata la scelta dei medici di non intervenire chirurgicamente preferendo tecnica conservativa per una formazione tumorale, riscontrata precocemente, in una donna giovane. La paziente era la candidata perfetta all’esecuzione immediata di una Quadrantectomia con linfoadenectomia ascellare. Di seguito si riassume la storia clinica della paziente mentre nell’allegato troverete le motivazioni che ci hanno spinto a richiedere un risarcimento (come al solito ci piacerebbe avere i pareri dei senologi e dei medici legali che ci leggono). La storia clinica della signora P. L. ebbe inizio il 23.11.2011 quando si sottopose ad Ecografia mammaria bilaterale e Mammografia bilaterale presso Istituto di R. che evidenziarono: “[…] nel quadrante supero-interno della mammella sinistra una neoformazione solida, ipoecogena, a contorni irregolari e margini sfumati di circa 3 cm di diametro maggiore con tessuto iperecogeno circostante come per reazione stromale. […]”. Su tale lesione venivano effettuata una biopsia.

L’esame istologico poneva diagnosi di carcinoma duttale infiltrante della mammella destra  (G2/G3, cT2, ER: 90%, PgR: 5%, HER2: negativo, Ki67: 40%). Con tale diagnosi la signora P. non veniva sottoposta ad intervento chirurgico di asportazione della lesione, ma veniva sottoposta a trattamento chemioterapico neoadiuvante secondo schema EC (epirubicina+ ciclofosfamide) per 4 cicli. Nonostante il trattamento effettuato, in data 14.06.2012 veniva sottoposta ad intervento chirurgico di mastectomia dx, linfoadenectomia omolaterale e posizionamento di protesi; iniziava l’ormonoterapia. Agli esami ematochimici di controllo routinario, venivano riscontrate ipertransaminasemia e aumento del marker tumorale CA 15-3, per cui in data 18.12.2013 si sottoponeva a TC total body senza e con mdc che mostrava la presenza di metastasi in sede epatica e polmonari. Veniva quindi sottoposta a nuovo ciclo chemioterapico con carboplatino e gemcitabina. Il trattamento eseguito non dava i risultati attesi e in data 25.03.2014 la signora P. effettuava nuovo accesso in Ospedale per cachessia neoplastica e scompenso epatico in paziente affetta da K mammaria metastatizzato. Il quadro clinico e generale della paziente era ormai totalmente compromesso e veniva dimessa al domicilio con terapia di supporto. In data 07.04.2014 avveniva il decesso.

Dr. Carmelo Galipò

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Relazione medicolegale di parte caso P.L.

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4 Commenti

  1. Carissimo Carmelo, faccio presente che lavoro per creare un ponte tra la mia giovane associazione (11 avvocati e medici) e la Vostra associazione con il chiaro intento di vederTi dirigere tutto.
    Dopo tale premessa, vorrei far presente che i pareri dei senologi e dei medici legali sono fondamentali ma esiste anche il parere del medico. Cioè non esistono soltanto le conclusioni tecnico-giuridiche-scientifiche del tribunale ma esiste anche il benedetto Codice Deontologico da cui partire per far nascere il diritto ad essere risarciti.
    Non entro nella fattispecie del caso descritto. Faccio presente che il senso dell’assoluto nella frase “i nostri esperti ritengono immotivata la scelta dei medici” ha rilievo deontologico nell’ambito dell’art. 62 e dell’art.58.
    Senza utilizzare grande fantasia, anche se non viene riportato nell’articolo, immagino che tale senso dell’assoluto possa essere presente nella lettera dell’avvocato con la richiesta di conciliazione. Sono innegabili, infatti, le libertà espressive dell’avvocato riguardo l’anatomia e la patologia umana. Ebbene, il medico dovrebbe innanzitutto far presente che tutti i Consulenti di parte (compresi gli psichiatri …) verranno chiamati a rispondere delle incongruità deontologiche di ordine medico (tra cui il senso dell’assoluto) presenti nella lettera dell’Avvocato stesso nell’ambito della “correttezza morale che fonda l’esercizio dell’attività medico legale” art. 62 C.D. e nel fatto che il CTP è investito del dovere di collaborare alla ricerca della verità (art. 230 c.p.).
    L’Avvocato dovrà necessariamente prendere in considerazione l’ipotesi del vaglio della propria lettera da parte di tutti i CTP. In una tale situazione, egli potrebbe venir contraddetto soprattutto se la causa è frivola e considerare l’ipotesi di chiuderla.
    Ai CTP che non rispondono si contesterà l’assenza di “solidarietà”, la mancata “correttezza morale che fonda l’esercizio dell’attività medico legale” dell’art. 62 C.D., la mancata solidarietà e la collaborazione con i colleghi richieste dall’art. 58 C.D.
    In particolare, il CTP può essere oggetto di procedimento civile per danni nell’ipotesi abbia tenuto un comportamento antigiuridico e ciò in riferimento all’obbligo di “rispetto reciproco” previsto dalle’art. 58 C.D..
    Siamo partiti dal semplice senso dell’assoluto.
    In altre parole, se fossi nei panni dei medici chiamati in causa, punterei sul “mancato accordo delle parti”. Successivamente, considererei l’ipotesi, dopo aver vinto la causa o, come avviene frequentissimamente, a causa conclusa con la compensazione delle spese di lite, di chiedere l’interposizione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza facendo presente esclusivamente quesiti deontologici, quindi esigerei copia del relativo verbale da usare, eventualmente, per citare il Consulente a giudizio (le richieste di indennizzo da parte dei medici chiamati ingiustamente in causa possono essere onerose).
    Come Associazione, farei presente ai figli della povera donna (poveri figli!), sempre dopo la sentenza, l’importanza del controllo deontologico del comportamento dei propri Consulenti con richiesta di restituzione degli onorari ed eventuale richiesta di interposizione all’Ordine dei medici.
    Visto che “il medico deve conoscere e rispettare il Codice e gli indirizzi applicativi allegati” (art. 1) consiglierei di tener sempre presente il sospetto di dolo.
    Per quanto riguarda l’avvocato di parte, se fossi il medico chiamato in causa, farei attenzione a tutte le frasi non conformi all’obbligo di rispetto del decoro altrui da egli riferite perché potrebbero essere espressioni che sconfinano nell’offesa personale. Il sospetto che sconfinino è sufficiente per firmare un esposto. Ovviamente, sempre dopo la sentenza a me favorevole e dopo aver richiesto un parere a chi di competenza.
    Saluti
    Dott. Arnaldo Capozzi

    • Carissimo Arnaldo hai approfondito il discorso con interessanti punti di vista che si possono anche condividere e sui quali si può costruire una linea guida di comportamento e analisi dei casi.
      Debbo appuntare che comunque tutte le parti hanno responsabilità di ogni loro opera e nei casi trattati dalla nostra associazione i fatti posti a conoscenza del giudice passano sempre attraverso un “Consulenza Tecnica Preventiva ai fini conciliativi”, tipologia di ricorso che ha come obiettivo quello di “sfoltire” i ruoli dei giudici.
      Ruolo fondamentale e ultimo lo svolgono i consulenti di Ufficio ed è soprattutto a loro che bisogna volgere lo “sguardo sanzionatorio” perché rappresentano l’ultimo anello di “verità” e purtroppo troppo spesso fanno guai a discapito di tutte le parti in causa
      Ciao e buon lavoro

    • Caro Arnaldo la costruzione di una perizia ha dei cardini principali che sono oggettivi e se questi non vengono rispettati rimangono evidenti agli occhi dei lettori colti. Quindi non affonderei la spada solo sui consulenti di parte attrice (medici e avvocati), ma anche su quelli dei convenuti e non ultimo sui CTU.
      Noi come professionisti che facciamo attività di consulenza siamo assicurati da eventuali “strafalcioni”, per cui non vedo problemi o difficoltà a condividere il discorso di far pagare chi sbaglia (ma tutti però!).
      Il discorso è vasto e penso che vada iniziato bene anche a partire da una rubrica su queste pagine che faccia da “apri pista” per l’attuazione di linee guida comportamentali per chi il mestiere di “accusatore” svolge.
      Attendo qualche proposta scritta con casi specifici per poterne cominciare a parlare su questo quotidiano.
      Cari Saluti
      Carmelo

  2. Carissimo Carmelo, TI ringrazio per lo spazio concesso.
    Ritengo che al medico sia stata, di fatto, nascosta una formidabile arma di difesa.
    Ciò che porterà alla riduzione dei danni della medicina difensiva sarà, però, il business della revisione deontologica delle migliaia di cause medico legali vinte dal medico, perse dal paziente o concluse con la compensazione delle spese di lite. Business che sembra interessare soprattutto giovani avvocati.
    Sempre per business, non è difficile pensare che, per “contraccolpo”, possano nascere associazioni, questa volta, a difesa estrema del medico. Si tratta di soldi “pochi, maledetti, ma subito” da prelevare dalle tasche di consulenti, CTU ed avvocati senza, necessariamente, attendere i lunghi tempi di una causa.
    Ho pochi casi da far presente essendo un’iniziativa giovane.
    Mi prenoto per il prossimo dei vostri incontri.
    Saluti
    Arnaldo

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