I giudici della Corte d’appello di Venezia hanno affermato la responsabilità di un giovane ragazzo deceduto a seguito di un incidente stradale verificatosi subito dopo una curva pericolosa

Nel corso del giudizio si era accertato che il guard rail posto a contenimento della curva non fosse sufficientemente idoneo e in linea con le norme di sicurezza; ma ciò non è bastato ad escludere la responsabilità della vittima

Nel ricorso introduttivo del giudizio erano stati chiesti alla società convenuta 494.500 euro a titolo di risarcimento danni dei quali rispettivamente, 2.500 euro a titolo di danno patrimoniale per le spese funerarie e per il danneggiamento del veicolo incidentato; 192.000 euro per il danno patrimoniale da lucro cessante e 300.000 euro quale ristoro del danno morale da perdita del rapporto parentale; il tutto oltre al risarcimento del danno esistenziale la cui quantificazione veniva rimessa alla valutazione equitativa del giudice adito.

I fatti

Dalla ricostruzione dei fatti operata dai ricorrenti, rispettivamente padre e fratello del defunto, quest’ultimo, nelle prime ore del 20 ottobre 2007, mentre era alla guida della sua autovettura e stava percorrendo la SR 204 da Belluno diretto ad Agordo, nel fare una curva volgente a sinistra, sbandava verso destra, finendo in una scarpata erbosa ove perdeva il controllo e impattava contro la testata del guard-rail posto a protezione di un ponticello su un torrente.

L’impatto con il veicolo aveva fatto in modo che il guard rail si piegasse verso l’esterno della carreggiata tale da favorire la fuoriuscita della autovettura che così, terminava la sua corsa sotto l’arcata del ponte.

Le parti eccepivano che il predetto guard rail fosse troppo basso e corto (alto m. 0,45 e lungo m- 25,20), tale cioè da avere una scarsissima capacità di contenimento, in violazione delle prescrizioni minime di sicurezza.

Per tali ragioni gli esponenti ritenevano sussistere in capo alla società proprietaria della strada ove era accaduto l’incidente, una responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Quest’ultima si costituiva in giudizio, negando ogni sua responsabilità in ordine all’accaduto e, asseriva che dallo stato dei luoghi non potevano essere richieste maggiori forme di sicurezza.

La pavimentazione stradale era, infatti, in buone condizioni di manutenzioni; la carreggiata, poco prima rifatta, era chiaramente delimitata da linee bianche continue e fiancheggiate da una banchina asfaltata e da una scarpata erbosa ascendente con infissi delimitatori luminosi di margine ed altri segnalatori.

Non solo. Lungo la strada erano presenti diversi modulatori di curva e altri segnali di pericolo, oltre all’indicato limite di 90 km/h che avrebbe imposto, anche per le ore notturne, di moderare particolarmente la velocità.

Terminato il giudizio di primo grado la domanda veniva respinta. Nel corso del giudizio era stato possibile accertare che il giovane, al momento dell’incidente, stesse procedendo ad una velocità piuttosto elevata; e … neppure si poteva escludere che l’incidente fosse stato provocato da un malore, antecedente all’impatto.

Insomma mancava la prova del nesso causale presupposto indispensabile per affermare la responsabilità disciplinata dall’art. 2051 c.c.

E comunque anche una eventuale responsabilità aquiliana sarebbe stata agevolmente esclusa non essendo ravvisabile alcun profilo di colpa in capo alla società convenuta in giudizio.

Il giudizio in appello

L’appello è stato affidato ai giudici della Corte territoriale di Venezia.

Appare singolare, anche per i giudici dell’appello, uno degli argomenti adottati dal primo giudice per escludere la responsabilità della società convenuta: “non è possibile escludere con certezza che il decesso non fosse stato provocato da un malore, antecedente all’impatto con il guard rail”.

Al riguardo osserva giustamente il Collegio adito, va ricordato che si trattava di un giovane di 20 anni che non aveva alcun problema di salute. Si tratta dunque di una mera ipotesi, non suffragata da alcun elemento probatorio, neppure presuntivo.

Peraltro, tale asserzione risultava ancor più priva di senso dalla lettura della “constatazione di decesso” rilasciata dal Pronto Soccorso, dal quale si evinceva chiaramente che la morte del ragazzo fosse avvenuta per causa violenta in seguito a politrauma.

E allora … non vi erano dubbi, in base al principio della regolarità causale, della sussistenza di un nesso causale tra l’impatto e la morte.

Ma ciò, tuttavia, non poteva escludere che a provocare l’incidente fosse stato lo stesso giovane.

Ed infatti, a causa della scarsità di elementi probatori e dell’assenza di testimoni, non era stato possibile ricostruire la dinamica; quello che tuttavia, era innegabile è che il giovane andasse ad una velocità elevata o comunque inadeguata alla situazione (presenza di curva a sinistra e visuale preclusa segnalata ed ora notturna).

Ed inoltre, non potevano escludersi anche altre cause sempre imputabili alla vittima, quali una disattenzione, un colpo di sonno (infatti l’incidente era avvenuta a notte inoltrata).

E poi c’era un altro dettaglio.

Dal verbale della Polstrada risultava che il pneumatico anteriore dell’autovettura fosse usurato.

Insomma per i giudici della corte d’appello veneta l’uscita di strada del ventenne non poteva che essere al medesimo addebitabile.

E la convenuta?

Neppure è escluso un concorso di colpa in capo alla società proprietaria della strada.

Dalla ricostruzione della Polstrada era infatti, emerso che le caratteristiche del guard rail avevano certamente agevolato la caduta del veicolo nella scarpata sottostante e che dunque la sua conformazione non era idonea a svolgere le proprie funzioni di contenimento. Era troppo basso e corto, tant’è che l’auto potè salirvi sopra.

Peraltro, il tratto di strada era alquanto pericoloso. Tale circostanza avrebbe dovuto portare la società a provvedere in tale senso.

Dunque, concorso di colpa sì, ma comunque minoritario rispetto alla condotta della vittima.

Cosicché la Corte d’appello di Venezia ha quantificato una corresponsabilità pari ad 1/3 e condannato la società a risarcire ai parenti della vittima, la somma di 300.000 euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, valutato secondo le tabelle milanesi.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 

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