La non indennizzabilità del Danno Biologico da morte è un tema che appare sconcertante in ambito di Responsabilità Civile e Normativa INAIL

Nella sentenza n. 30857 del 22 ottobre 2017 della Corte di Cassazione Civile Sezione Lavoro appare immediatamente che i problemi più importanti che emergono dalla sua lettura sono sia di indole normativo – giuridica, sia di ordine biologico.

I problemi di ordine normativo – giuridico riguardano: 1) il diritto degli eredi di una persona deceduta per malattia professionale “ de iure hereditatis “; 2) il loro diritto “de iure proprio“; 3) la conferma che il danno biologico da morte non è ammesso dalla normativa assicurativa previdenziale; 4) le situazioni in cui è lecito da parte dell’assicurato e degli aventi diritto sostenere di   essere ammessi al risarcimento del “ danno differenziale “;

I problemi di ordine biologico riguardano: 1) la identificazione/qualificazione del momento della sussistenza del rischio ad ammalarsi, e nella fattispecie, confermando la non ammissione scientificamente della trigger dose in relazione alla correlazione esposizione ad amianto > insorgenza del mesotelioma; 2) il concorso di cause tra due ( o più ) lavorazioni dove sussiste o non sussiste in entrambe o in una delle due il medesimo rischio ad ammalare di mesotelioma.

Si riassume brevemente il fatto.   Per l’assicurata, deceduta per mesotelioma peritoneale e ad cui quindi dopo il decesso sono subentrati i diritti degli eredi, sono ravvisabili due distinti periodi di lavoro: –   il primo periodo svolto dal 1958 al 1963 in cui l’assicurata ha svolto l’attività di filatrice; – il secondo periodo   svolto dal 1963 in poi, in cui, durante il corso del giudizio, il Consulente Tecnico di Ufficio aveva accertato mancata riduzione dell’ambiente polveroso di lavoro, mancanza di idonee misure di sicurezza per abbattere la polverosità dovuta a fibre di amianto, mancata imposizione di dispositivi di protezione individuale, mancanza di idonea informazione ed istruzione dei lavoratori circa l’uso dei dispositivi di protezione individuale.

Per il primo periodo di lavoro ( come filatrice dal 1958 al 1963 ), il Consulente Tecnico di Ufficio, a giudizio della Società convenuta ( relativamente al secondo periodo di lavoro ( dal 1963 in poi ) avrebbe omesso dii accertare la presenza di amianto nell’ambiente lavorativo. Circostanza che non rientra, da un punto di vista normativo processuale di potere entrare nel merito di un processo di primo grado e/o di Appello, se non nel non valutare il rispetto delle forme corrette di principi di procedura, tra i compiti della Corte di Cassazione Penale. Questa infatti deve accertare se vi è stata la violazione o la non corretta applicazione di un “ principio giuridico “.    Infatti la C.C. Penale ha rilevato la censura inammissibile in quanto, a fronte di una puntuale motivazione da parte della Corte di Appello ( la cui Sentenza è quella impugnata ) circa l’importanza della esposizione alle polveri nel lungo periodo di lavoro della de cuius e l’incidenza di tale esposizione nella insorgenza della patologia sul tema essa non poteva pronunciarsi. Infatti,  a detta della Corte di Cassazione medesima, questa non può entrare nel merito ove la Corte territoriale ( nella fattispecie Corte di Appello ) ha “ attentamente ricostruito le ragioni in base alle quali ha ritenuto provato il nesso di causalità tra il mesotelioma e le polveri ( fibre ) di amianto spiegando, in maniera esauriente e logica, l’opzione scientifica in base alla quale tale efficienza causale non poteva essere riconosciuta alla possibile e di molto risalente esposizione ( dal 1958 al 1963 in qualità di filatrice ).     In seguito questo concetto sarà più ampiamente sviluppato a proposito del successivo paragrafo circa i problemi di ordine biologico.

Per i problemi di interesse normativo e giuridico affrontati con questa Sentenza (diritti degli eredi iure proprio e iure hereditatis ) in ambito di malattia professionale che ha causato il decesso della lavoratrice assicurata, l’INAIL, a seguito della emanazione del D.lvo n. 38 / 2000, e con la emanazione della Circolare esplicativa n. 57 del 4.8.2000, ha chiarito al punto 3.2.7, della Circolare predetta: A) ai sensi del comma 9 dell’articolo 13 del D.lvo n. 38/2000 “ se l’assicurato al quale è stato riconosciuto l’indennizzo in capitale del Danno Biologico ( D.B. tra 6 e 15 % ) decede prima che tale indennizzo sia stato corrisposto, è dovuto un indennizzo proporzionale al tempo trascorso tra la data della guarigione clinica e la morte. Si tratta della applicazione del principio di carattere generale secondo il quale l’indennizzo in capitale deve essere proporzionato alla durata della residua vita nel corso della quale deve ristorare il pregiudizio della menomazione, principio che – come si è già visto – sta alla base della differenziazione dell’indennizzo in relazione all’età. E’ perciò conseguenziale – continua la Circolare dell’INAIL – che, in caso di morte prima della erogazione della prestazione, si debba corrispondere un indennizzo rapportato alla effettiva durata della sopravvivenza del danneggiato e non quello indicato nella Tabella Indennizzo Danno Biologico, costruita utilizzando parametri statistici “. Continua la Circolare: “ Si osserva, peraltro, che la norma riguarda solo la fattispecie in cui la morte sopravviene prima della corresponsione dell’indennizzo, con la conseguenza che se l’importo liquidato in capitale è stato corrisposto e regolarmente riscosso e quindi è entrato nel patrimonio del danneggiato con la conseguente trasmissibilità agli eredi , questa disposizione non si applica. Laddove, invece, l’importo prima della morte non sia stato ancora corrisposto oppure, se già liquidato, non sia stato ancora riscosso, si deve procedere a reincassare la somma se già liquidata, ricalcolare l’indennizzo del danno biologico maturato dal defunto durante il periodo di sopravvivenza ed erogare il nuovo importo agli eredi. Omissis “.   Poi al punto 3.5 ultimo comma, la Circolare n. 57/2000 dell’INAIL precisa: “ Per quanto riguarda lo speciale assegno continuativo mensile ai superstiti, di cui alla legge n. 24871976, modificato dalla legge n. 251 /1982, la valutazione del grado di riduzione dell’attitudine al lavoro secondo le disposizioni del Testo Unico dovrà essere effettuata per verificare se esiste il presupposto del diritto alla particolare prestazione, mentre la prestazione stessa, qualora dovuta sarà commisurata alla rendita effettivamente corrisposta in vita al lavoratore ai sensi dell’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 38/2000.    Limitatamente però alla quota per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali delle menomazioni “ ( quelle ve vengono calcolate con la Tabella Coefficienti del D.M. 12.7.2000 ).   Dunque la conferma che il Danno Biologico come tale non si eredita “ iure haereditatis “.

Per quanto riguarda i principi che regolano l’Assicurazione Obbligatoria contro gli Infortuni e le Malattie Professionali, l’articolo 10 del Testo Unico del D.P.R. n. 1124 del 14.6.1965 ha introdotto una clausola di esonero per il datore di lavoro dalla responsabilità per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali coperte dalla corrispondente assicurazione. Ciò discende dal principio ispiratore della assicurazione, laddove alla obbligatorietà, con imposizione degli oneri di finanziamento a carico del datore di lavoro, consegue l’effetto esonerativo. Si tratta di esonero parziale in quanto la responsabilità permane nel caso in cui il fatto illecito sia sanzionabile in sede penale.

Per quanto riguarda poi l’aspetto del risarcimento del danno esiste una ulteriore delimitazione: la liquidazione del danno   ( da contestuale principio di applicazione della responsabilità civile in caso di reato del datore di lavoro sul tema sicurezza e prevenzione ) è consentita per la sola parte eccedente l’indennità spettante in sede previdenziale. Infatti il risarcimento non è dovuto per la quota ristorata con l’indennizzo per la inabilità temporanea e con la rendita per la inabilità permanente, mentre spetta per la sola parte eccedente.   Questa parte eccedente si definisce danno differenziale la cui ratio risiede nel divieto di cumolo tra indennizzo e risarcimento espressamente supposto dalla normativa

A questo punto si inserisce il problema del “ danno differenziale “ che, come chiarisce la medesima Corte di Cassazione Penale nella Sentenza che qui si commenta “ deve intendersi quella parte di risarcimento che eccede l’importo dell’indennizzo dovuto in base all’assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro, ove il fatto costituisca reato perseguibile d’ufficio “. E continua la Corte: “ Si tratta di un danno che, pur rientrando nel tipo già considerato della assicurazione obbligatoria in ragione del carattere indennitario di questa, può presentare delle differenze di valore monetario rispetto al danno civilistico per la diversa valutazione del grado di inabilità in sede INAIL rispetto a quella operata nel diritto comune, dove il grado di invalidità permanente viene determinato con criteri imposti dalla legge ma elaborati dalla scienza medico legale, oltre che per il diverso valore del punto di inabilità ( Cassazione 10.4.2017 n. 9166 in motivazione ). Omissis “. Aggiunge ancora la Corte: “ Va del pari rammentato che nel calcolo di Danno Biologico deve essere detratto il valore capitale della rendita costituita dall’INAIL destinata a ristorare il Danno Biologico. Nel sistema assicurativo INAIL, delineato con il D.lvo n. 38 del 2000, articolo 13, il Danno Biologico è pacificamente compreso nell’indennizzo e, conseguentemente, per tale voce di danno il datore di lavoro è esonerato da responsabilità civile ( Cassazione Civile Sezione Lavoro 29 gennaio 2002, n. 1114 ) “.

Da quanto emerge appare lecito, volendo ammettere la piena validità della tutela assicurativa previdenziale obbligatoria contro gli Infortuni e le Malattie Professionali, riconoscersi il danno differenziale a vantaggio degli assicurati e dei loro aventi diritto solo in caso di mancato esonero della responsabilità civile del Datore di Lavoro. Per gli aventi diritto superstiti dell’assicurato dunque sono previsti: per la quota di riduzione dell’attitudine al lavoro > vedi Circolare n. 57 del 2000 ( già riportata nella parte di interesse ) iure aereditatis e iure proprio,  solo dove la perdita del congiunto abbia provocato una patologia psichica “ da perdita di congiunto “, altre situazioni previste dalla giurisprudenza  di analogo principio.

In sostanza, come ricorda   Tommaso Dilonardo il 19.5.2016 nel suo intervento sul web “ Diritto 24 “: “ Omissis. Le somme erogate dall’INAIL si definiscono indennizzi perché in primo luogo l’INAIL è terzo dunque, al pari delle assicurazioni private, paga delle somme a favore del lavoratore in relazione a un premio versato in precedenza dal datore di lavoro; inoltre tali erogazioni non richiedono l’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, vengono riconosciute in quanto l’infortunio è avvenuto in occasione di una attività lavorativa, dunque anche se l’infortunio è riconducibile a una mera fatalità, avendo il datore di lavoro assolto a tutti i suoi obblighi in materia di sicurezza del posto di lavoro e prevenzione.

Da tutto questo emerge che vi sono ampie aree di danno subito dal lavoratore che l’INAIL non è tenuto a indennizzare. Ora, se l’infortunio è avvenuto per una mera fatalità, se dunque non vi è alcun colpevole o il colpevole è il medesimo lavoratore infortunato, questi non avrà alcun diritto, oltre a quanto la legge prevede che debba versargli l’INAIL; in caso contrario, se cioè l’infortunio è avvenuto per colpa o responsabilità del datore di lavoro, il lavoratore ha diritto di ottenere il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Ovviamente i danni possono essere ristorati una sola volta, quindi se i danni subiti dal lavoratore sono pari a cento e se l’INAIL ha indennizzato poniamo sessanta, il lavoratore ha subito un danno residuo (danno differenziale) che potrà essere risarcito nella misura di quaranta.

Non vi è una normativa che regoli quanto sopra esposto, il danno differenziale è uno di quei diritti che, nel silenzio del legislatore, in base all’ordinamento giuridico, è stato portato alla luce dalla giurisprudenza “.

Le nuove tipologie di cause inoltrate nei confronti del datore di lavoro facevano correre il rischio, prima della introduzione nella normativa dell’Assicurazione Obbligatoria Previdenziale dell’indennizzo del Danno Biologico ex D.lvo n. 38/2000, di: 1) elargire due benefici al lavoratore assicurato: il primo da parte dell’INAIL per la riduzione della attitudine al lavoro generico; 2) il secondo da parte del datore di lavoro per il danno biologico con conseguente valutazione duplicativa del danno (non opportuna come sostenuto dalla Corte Costituzionale) e, soprattutto, con l’effetto di denaturare l’esonero della responsabilità civile del datore di lavoro ed uno dei cardini del Sistema Assicurativo Previdenziale, non solo caratteristica dello Stato Italiano.

Il D.lvo 38/2000 che ha introdotto in ambito di indennizzo previdenziale il danno biologico, nella erogazione della rendita per infortunio o per malattia professionale ha introdotto due voci che si sommano a vicenda, sempre che la menomazione o le menomazioni (anche valutate insieme tra più eventi) siano pari o superino il 16%: 1) la prima voce è quella propria del danno biologico che è omogenea per classi di età e per sesso, tenuto conto della maggiore longevità della donna; 2) la seconda voce (valutata con coefficienti di attribuzione da 0,4 ad 1, ove 1 è il massimo valore del coefficiente, correlata alla capacità specifica dell’assicurato.

Come si vede, quindi, con l’emanazione del D.lvo 38/2000 e con le relative Tabelle Valutative e dei Coefficienti, di cui al D.M. 12.7.2000, l’INAIL si è addossata l’onere che si temeva proprio (e cioè quello della duplicazione valutativa del danno, nelle situazioni in cui il danno biologico è serio: come si diceva, pari o superiore al 16%) e questo ai fini della difesa della tutela privilegiata e dell’esonero della responsabilità civile del datore di lavoro (sussistente, è ovvio, al di fuori delle ipotesi di esonero della responsabilità civile di cui anche all’articolo articoli 10 del Testo Unico D.P.R. n. 1124/1965 ).

D’altra parte, in generale (ma qui siamo in ambito previdenziale e riteniamo che i diritti dell’assicurato ed oggi di chi gli è subentrato come avente diritto alla reversibilità della rendita debbano trovare un limite invalicabile in quanto già indennizzato dall’INAIL) la Sentenze della Corte di Cassazione Civile a Sezioni Unite (cosiddette “sentenze di San Martino”) hanno meglio spiegato il concetto circa i diritti di risarcimento del danno biologico, del danno morale, del danno alla vita di relazione ed altre forme di danno richieste dall’attore che di volta in volta ha citato in giudizio il responsabile civile, stabilendo due punti fermi: 1) queste voci di danno non possono determinare duplicazioni, triplicazioni, quadruplicazioni nella loro liquidazione; 2) sono da inserire oltre alla voce del danno biologico da valutarsi a parte nell’ambito del danno non patrimoniale, pur essendo riconosciuto dalla giurisprudenza che anche il danno biologico può intendersi come danno non patrimoniale. Infatti le sentenze della Corte di Cassazione (Cassazione Civile 31/5/2003 n. 8827 ed 8828) e la sentenza della Corte Costituzionale 11/7/2003 n. 233) hanno puntualizzato il sistema della responsabilità civile in relazione al danno alla persona. Ma le successive sentenze di San Martino del 2008 (Vedi: Sentenze Cassazione Civile a Sezioni Unite n. 26972/2008, n. 26973/2008, 26974/2008, 26975/2008, tutte dell’11/11/2008, dette “sentenze di San Martino”) hanno chiarito in modo inequivocabile che: “omissis. … Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno …” (Cass. Civ. Sez. Un. N. 26972/2008). E questo principio (e cioè quello di evitare a iosa le duplicazioni, triplicazioni, quadruplicazioni valutative del danno – riteniamo – debba valere più che mai in ambito di patologie già indennizzate dall’INAIL (la cui esistenza ed i cui benefici sono una garanzia sia per i lavoratori e quindi dei loro eredi sia per i datori di lavoro e confermata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 36 del 7/2/2000 in occasione della richiesta di indizione del Referendum popolare per annullare il “monopolio” dell’INAIL nel suo ambito istituzionale).

Mettere in crisi il sistema di tutela garantito dall’INAIL citando in giudizio per duplicazioni, triplicazione, quadruplicazioni dei danno direttamente il datore di lavoro, fa venire meno lo scopo costituzionale dell’INAIL ed, in ultima analisi, determina un danno alla “pace sociale” che vollero i Padri della Costituzione Repubblicana, qualora dovesse “passare” il principio che, in caso di infortunio o di malattia professionale si possa ottenere contemporaneamente l’indennizzo dall’INAIL ed il risarcimento da parte del datore di lavoro. Si ritiene di ricordare la Sentenza n.36/2000 della Corte Costituzionale che al riguardo definisce i compiti istituzionali dell’INAIL che tutela giustamente il lavoratore ma che contestualmente tutela anche il datore di lavoro ai fini di evitare il depuramento della garanzia prevista dalla Costituzione Italiana del mondo del lavoro (inteso nel suo senso completo di rapporto tra lavoratore e datore di lavoro) che prevede l’assicurazione previdenziale (la cui prestazione, proprio a garanzia del lavoratore, è automatica e scatta non appena si ravvisa un danno da causa lavorativa: allorchè il datore di lavoro ha omesso di versare i doverosi contributi previdenziali – ed al riguardo la legge prevede che qualsiasi patto tra datore di lavoro e lavoratore atto ad evadere i contributi previdenziali, e nella fattispecie il premio assicurativo INAIL non è “annullabile” ma è completamente “nullo” – e quindi detta prestazione dà diritto al lavoratore ad avere il “dovuto” dall’INAIL che poi esercita l’azione di “regresso” sul datore di lavoro che ha omesso ed evaso il pagamento del premio assicurativo o in caso poi per sua responsabilità sia tenuto a restituire all’INAIL la rendita corrisposta al lavoatore).

 

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Per quanto attiene ai problemi di ordine biologico circa il fatto che alcuni Autori Epidemiologi hanno ipotizzato che, nel caso della esposizione professionale all’asbesto, con inalazione delle sue fibre, rivesta carattere prioritario una prima dose, anche molto piccola, inalata in tempi remoti, su cui le successive esposizioni lavorative si innescano in modo del tutto indipendente dalla insorgenza ed evoluzione della patologia ( si parla sempre di mesotelioma ) che è da attribuire alla dose iniziale di molti anni prima ( trigger dose ) non trova alcun fondamento biologico. Questo assunto, che sia la Scienza che la Magistratura hanno scartato come privo di validità, ha avuto comunque l’effetto di determinare un prolungamento di alcuni processi giudiziari ( dove molto spesso una delle due parti in causa non persegue la finalità di una Sentenza che non gli potrà dare mai ragione ma la marcia è verso la prescrizione ) ed ha determinato alcune incertezze nel mondo della Medicina e dell’Igiene del Lavoro. Infatti, mentre è più facile avere informazioni su ambiente di lavoro, tecniche e sostanze utilizzate nei tempi recenti, non lo è altrettanto per quanto riguarda la individuazione di fattori nocivi lontani nel tempo, come nel caso della trigger dose.

Gli studi di Oncologia, di Oncologia molecolare ( studio correlazione struttura chimica / attività / oncogenesi ), di Epidemiologia e di Oncologia Professionale hanno confermato invece quanto è dato di conoscere per la quasi totalità della cancerogenesi chimica, e cioè che:

1) Ad una prima esposizione   a fibre di asbesto, le successive esposizioni aumentano la probabilità che l’evento mesotelioma si manifesti;

2) Il Modello multi – stage di oncogenesi resta valido e se è vero che ormai l’asbesto è considerato un cancerogeno genotossico, ulteriori successive esposizioni oltre le iniziali prime esposizioni, possono determinare ulteriori mutazioni cellulari ed, unitamente ad altri fattori genotossici ed epigenetici ( del resto entrambi caratteristici anche delle fibre di asbesto: da considerarsi quindi cancerogeno completo ), quindi aumentare la frequenza di mutazioni, anche intervenendo su geni oncosoppressori quali il gene P53, che determina l’apoptosi o “ morte cellulare programmata di cellule mutate, modificando i sistemi enzimatici di correzione degli errori del DNA. E quindi ulteriori mutazioni di non poca importanza che, in modo inequivocabile, aumentano la probabilità di insorgenza del tumore. E, fatto molto importante, nel processo di oncogenesi le successive esposizioni ad agenti cancerogeni possono assumere carattere efficiente e determinante, perfino svincolate dalla cosiddetta piccola esposizione professionale di molti anni prima ( trigger dose ) ed in via del tutto autonoma dal processo, magari abortito, sulle cellule iniziali di tanti anni prima, intervenendo, più tardi,   oggi, su differenti cellule;

3) Ora, in base a quanto già scritto ai punti 1 e 2 non è affatto solo importante la dose iniziale ( trigger dose ) di fibre di amianto affinchè un mesotelioma si manifesti ma riveste particolare rilevanza nel processo oncogenetico “ multistage “ la intera dose cumulativa accumulata durante l’intera vita lavorativa;

4) Se è del tutto ammissibile ritenere, e non siamo in sintonia con la Consulenza Tecnica di Ufficio del processo di Appello che esclude questa eventualità, che anche durante l’attività lavorativa precedente   di filatrice vi possa essere stata esposizione ad inalazione di fibre di asbesto ( infatti nell’ambito della filatura tessile una esposizione ad asbesto potrebbe essere stata con elevata probabilità causata dalla composizione dei sistemi frenanti dei filatoi che contenevano fibre di asbesto ), non può certo non assumere rilevanza ed anche in grado maggiore per intensità e durata di esposizione la successiva attività lavorativa che ha aumentato sensibilmente la dose cumulativa. Si ricorda “ Omissis. il Consulente Tecnico di Ufficio aveva accertato mancata riduzione dell’ambiente polveroso di lavoro, mancanza di idonee misure di sicurezza per abbattere la polverosità dovuta a fibre di amianto, mancata imposizione di dispositivi di protezione individuale, mancanza di idonea informazione ed istruzione dei lavoratori circa l’uso dei dispositivi di protezione individuale”;

5) Le attuali teorie scientifiche sulla oncogenesi hanno poi accertato che: a) la teoria multi stage del processo oncogenetico ( iniziazione – promozione – progressione ) è tuttora riconosciuta valida dalla scienza;   b) perché un cancro si sviluppi non è sufficiente una sola mutazione ma sono necessarie almeno 6 – 7 mutazioni;   c) vi può essere anche tendenza alla familiarità  per alcuni tipi di tumore ( come accade per alcune famiglie della Turchia per i mesoteliomi da erionite e come per altre forme di mesoteliomi da asbesto – ed il discorso è valido per altre forme tumorali come per il cancro vescicale nei lenti acetilatori su lavoratori esposti ad ammine aromatiche –   ) ma la multifattorialità  all’origine dei tumori anche professionali non sconfessa affatto la necessità che nell’ambiente di lavoro vengano rispettate le norme di prevenzione per limitare il rischio da esposizione ad agenti cancerogeni in più tempi della storia lavorativa: concetto normativo in pieno accordo con i dati della biologia.

 

                                                         CONSIDERAZIONI

1) Se è vero che l’articolo 21 del D.P.R. n. 303 /1956, in vigore all’epoca delle due lavorazioni, dapprima come filatrice e poi alle dipendenze della Ditta chiamata in giudizio, appaiono confermare la responsabilità datoriale, quantomeno nei confronti del secondo Datore di Lavoro, nel non avere avuto comportamenti idonei a limitare la inalazione delle fibre di asbesto da parte dei lavoratori esposti, depone con l’ articolo 10 del Testo Unico – D.P.R. n. 1124 /1965 – , circa il non esonero della responsabilità civile del Datore di Lavoro e quindi circa la sua vulnerabilità in queste condizioni al dovere risarcitorio oltre quello indennitario da parte dell’INAIL a favore delle maestranze, a doversi quindi – oggi che lo Stato ha emanato più ampie norme di tutela dei lavoratori, come per il caso dei D.lvi n. 626 /1994 e n. 81 /2008 – egli Datore di Lavoro tutelare anche facendo ricorso ad Assicurazione Privata, nelle condizioni in cui potrebbe essere chiamato, in situazioni di dolo o colpa grave e quindi nel non esonero della responsabilità civile, a dovere risarcire il Danno differenziale e, sia pure secondo meccanismi di non duplicazione del danno ( e se la persona subisce un danno e non muore ), dove parte dell’indennizzo è a carico INAIL ed il Datore di Lavoro paga solo la maggior differenza nell’immediato e poi è soggetto a regresso da parte INAIL . In altre ipotesi,   dove in caso di morte l’INAIL non indennizza il Danno Biologico ma solo la parte di somma dovuta come correlata alla perdita di attitudine al lavoro, il Datore di Lavoro, anche non responsabile per dolo o colpa grave, potrebbe rimanere scoperto sia per il risarcimento del Danno Biologico   ( che non è indennizzato in caso di morte dall’INAIL ) che per il ristoro del Danno Differenziale.   La Giurisprudenza potrebbe deviare dalla interpretazione essa dà dell’esonero della responsabilità civile e il punto critico potrebbe essere rappresentato dal danno differenziale.

2) Se è vero che, come sopra già scritto, le Sentenze di San Martino hanno chiarito bene che, al di là dell’equo risarcimento nei confronti di chi ha subito un danno ingiusto, non possono aversi perversi meccanismi di risarcimento che, laddove il Diritto è incerto e la Norma tace, si affacciano spesso nei Tribunali Italiani, appare del tutto evidente che il Legislatore dovrà prima o poi intervenire sulla materia inquadrando il Risarcimento in Responsabilità Civile entro confini tali da non permettere speculazioni.

3) In ambito INAIL, allorché, come si è visto, l’Istituto in caso di sussistenza di esonero della responsabilità civile del Datore di Lavoro non indennizza il Danno Differenziale ma solo il Danno Biologico ( per menomazioni dal 6 % al 15 % ) ed il Danno Biologico e il Danno Lavorativo ( per menomazioni dal 16 % al   100 % ), il Datore di Lavoro non parrebbe correre rischi di dovere rimettere denaro dal proprio patrimonio e – ed è questo il dato che ci interessa ribadire – il Sistema Previdenziale, nella forma dell’Assicurazione Obbligatoria contro gli Infortuni sul Lavoro e le Malattie Professionali, non ne esce indebolito, almeno fin quando la Giurisprudenza si mantiene entro i confini della interpretazione delle norme così come delineati fino ad oggi. Vero è che tale meccanismo è aperto ad incoraggiare da parte dei lavoratori procedimenti penali che, oltretutto, anche quando le carte darebbero ragione alle maestranze subiscono archiviazione per sopraggiunta prescrizione.

4) Il tema della non indennizzabilità del Danno Biologico a causa di morte e quindi la sua non ereditabilità da parte degli aventi diritto, come non è ereditabile il Danno Biologico in ambito di Responsabilità Civile, eccetto che se in vita non sono già entrati a fare parte dei beni del defunto per aver fatto in tempo egli, prima della morte, a riscuoterlo, è un tema che appare alquanto sconcertante in ambito di Responsabilità Civile e per quanto concerne la Normativa INAIL.

5) Se la mancata previsione dell’indennizzo da parte INAIL del Danno differenziale non appare in contrasto con gli obiettivi e gli scopi dell’Istituto che però, accanto alle prestazioni di tipo economico, garantisce:   l’automaticità delle prestazioni sia nel caso di omesso pagamento del premio assicurativo sia nel caso di omessa denuncia di infortunio e di malattia professionale da parte Datoriale; l’assistenza protesica; il ricovero in Centri di Fisiokinesiterapia altamente qualificati; messa a disposizione del proprio Personale per lo studio del nesso di causalità di malattie professionali prevalentemente non Tabellate; pagamento della inabilità temporanea assoluta che non soffre di interruzioni per “ periodi di comporto “ ma la cui indennità viene pagata fino alla stabilizzazione dei postumi, non sembra che vi si ravvisino questioni di incostituzionalità ma semmai una scelta valida di ordine sociale e politico di garantire le prestazioni con criteri di giusta economicità offrendo prestazioni ritenute più utili di altre e con garanzia dell’istituto della Revisione ( fino a 10 anni per l’infortunio sul lavoro e fino a 15 anni per la malattia professionale ) possibilità di ottenere anche maggior ristoro economico se le patologie da lavoro ( di indole infortunistica e tecnopatica ) evolvono in senso peggiorativo: vantaggio non offerto dal sistema di risarcimento del danno da Responsabilità Civile da parte delle Compagnie di Assicurazione che liquidano il danno alla salute in unica soluzione liberandosi da ogni futuro vincolo da parte dei pazienti danneggiati in caso di futuro aggravamento della patologia.

6) Viceversa la non risarcibilità del Danno Biologico in ambito di Responsabilità Civile in caso di morte e sempre per tale causa la non indennizzabilità da parte INAIL ed il doversi fare ricorso a forme spesso astruse di metodiche risarcitorie ( ex danno de iure proprio, ex danno de iure hereditatis ) in ambito di Risarcibilità Civile offrono un quadro sconcertante circa la logica che non ha seguito il Legislatore nell’adeguare le Normative all’evoluzione sociale attuale.

7) Non appare sostenibile una interpretazione diversa con possibilità di vera e propria duplicazione del danno una volta per il Danno Biologico indennizzato dall’INAIL ed una volta per la responsabilità civile. Se la normativa non appare sostenibile sotto l’interpretazione letterale della uguaglianza dei cittadini nei confronti del risarcimento del danno dalla Costituzione italiana che sancisce la uguaglianza fra i cittadini ( in alcune ipotesi il risarcimento del danno è più favorevole in chi non abbia la tutela assicurativa INAIL nei confronti dei lavoratori assicurati rispetto ad altre circostanze accidentali extra-lavorative o rispetto a soggetti non assicurati con l’INAIL), per altri versi la limitazione di carattere risarcitorio con la preferenza della tutela indennitaria, corrisponde ad una scelta discrezionale voluta dal legislatore, con oltretutto grandissimi benefici a favore dal lavoratore, tra cui: 1) l’automaticità della prestazione previdenziale indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro sia in regola oppure no con il pagamento del premio assicurativo; 2) il non essere obbligati da parte del lavoratore a citare in giudizio continuamente il datore di lavoro per vedersi riconosciuto un diritto, a causa di infortuni sul lavoro e di tecnopatie e da parte del datore di lavoro a non essere continuamente chiamati in giudizio; 3) la messa a disposizione di tanti altri benefici per il lavoratore come utilizzo dei Servizi di fornitura Protesi ed ora, in diverse Sedi e Centri INAIL, di cure di riabilitazione, la collaborazione tecnica da parte dell’Istituto per il riconoscimento di malattie professionali non tabellate altre provvidenze del tema del presente articolo ( benefici previdenziali come nel caso della rendita a superstiti ).

 

Dr. Carmelo Galipò

Dr. Carmelo Marmo

(Specialisti Medico Legali)

 

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