La Corte di Cassazione ha dato ragione a un cittadino che si era visto respingere un’istanza di risarcimento in secondo grado poiché il testimone dell’incidente era un familiare, peraltro non indicato nell’atto di citazione

Il Comune, in base al principio della responsabilità oggettiva, risponde dei danni provocati a pedoni ed automobilisti dalle insidie stradali dovute all’inadeguata o mancata manutenzione.

Chi ad esempio cade a causa di una buca o di un tombino riportando rilevanti lesioni fisiche può chiedere il risarcimento del danno al Comune dimostrando la presenza di alcune circostanze quali l’inadeguata segnalazione dell’insidia, l’impossibilità di evitarlo o prevederlo con l’ordinaria diligenza, e ancora il cosiddetto nesso di causalità ovvero che l’infortunio sia stato provocato unicamente dall’insidia stradale e non da altre circostanze.

Per ottenere la liquidazione del risarcimento è necessario, inoltre, dimostrare e quantificare l’entità del danno riportato attraverso ad esempio un referto del pronto soccorso o, meglio ancora, di un medico legale.

La citazione di eventuali testimoni è consigliabile, anche se una recente sentenza della Corte di Cassazione – la n.14706 del 19 luglio – ha chiarito un aspetto particolarmente significativo sottolineando che la mancata indicazione del teste nella citazione non preclude la domanda di risarcimento del danno.

Gli Ermellini si sono pronunciati in merito alla vicenda di un cittadino che dopo esser inciampato in un tombino, riportando dei danni fisici, ha citato in giudizio il comune per chiedere il risarcimento. Il cittadino ha deciso di ricorrere in Corte di Cassazione dopo che la Corte d’Appello aveva rigettato il suo ricorso ritenendo non adeguatamente dimostrato il verificarsi della caduta nel tombino.

In secondo grado di giudizio i giudici avevano infatti ritenuto inattendibile, in assenza di una decisiva prova documentale, la testimonianza di un familiare, peraltro non indicato da subito dal ricorrente nell’atto di citazione.

La Suprema Corte ha evidenziato che la circostanza che il testimone fosse il fratello dell’infortunato non rendesse di per sé inattendibile la testimonianza. Infatti una volta che viene meno il divieto di testimoniare previsto dall’articolo 247 c.p.c. il giudice del merito non può di certo inficiare la credibilità dalla testimonianza del parente, proprio in quanto tale.

I giudici di legittimità hanno inoltre hanno ritenuto che in tali casi non è necessaria la prova documentale, consistente magari nel referto del pronto soccorso, in quanto la testimonianza non presuppone necessariamente dei riscontri esterni a suo supporto, salvo che si tratti di ‘testimonianza de relato’.

Infine la Cassazione ha statuito che se nell’istanza istruttoria di prova testimoniale non viene indicato subito il nome del teste, lo stesso può essere successivamente indicato entro i termini previsti, per il completo espletamento delle istanze istruttorie, dall’articolo 183, VI comma, secondo termine del codice di procedura civile.

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