La logica del danno differenziale iatrogeno è insita nella matematica e rende giustizia a chi la merita in ogni senso. Non esiste il concetto dell’equità di fronte alla logica matematica

Questa è un’amara riflessione ispirata dalla lettura di una sentenza del Tribunale di Milano del 2015 in cui si parla di danno differenziale iatrogeno.

Per meglio comprendere la riflessione si riporta uno stralcio della sentenza in cui il Giudice si focalizza sull’argomento.

“…Quanto alla quantificazione del danno, soccorrono le determinazioni assunte dalla CTU medico legale in atti, che, supportate da valutazioni tecniche logicamente stringenti ed adeguatamente motivate, si condividono integralmente nei termini sopra riportati.

Il C.t.u. ripercorreva la storia clinica di parte attrice negli esatti termini da questa rappresentati.

Nel corso della visita medica peritale aveva modo di verificare il danno funzionale permanente riportato dal paziente.

Adduceva che una frattura complessa quale quella in origine presentata dal paziente, non avrebbe condotto ad una completa restitutio ad integrum anche nel caso fosse stata adeguatamente trattata, posto che l’interessamento (omissis…) dell’insulto avrebbe comunque comportato, applicando i dati statistici elaborati dalla letteratura medico scientifica, una parziale riduzione dell’articolarità (omissis…) e sotto astragalica, per una misura complessivamente valutabile nel 5-6%.

Appare dunque congrua la quantificazione dei postumi permanenti, operata sulla base di indici medico legali condivisi e generalmente applicati, determinata nella misura del 4%, avuto riguardo all’età del paziente, alla lateralità della lesione riportata e al distretto anatomico interessato.

Parimenti condivisibile risulta essere la quantificazione in complessivi 180 giorni di parziale inabilità temporanea, riconducibile all’alterazione del regolare decorso di guarigione subito dall’attore (60 giorni al 75%, 60 giorni al 50% e 60 giorni al 25%).

… Ritiene dunque il Tribunale di dover applicare in esito alla recente riforma attuata con D. L. n. 158/2012, convertito in L. n. 186/2012 (cd. Decreto Balduzzi), i minori importi previsti nelle tabelle disciplinate dagli artt. 138-139 D. Lgs n. 209/2005.

Nel caso in esame si è in presenza di uno stato caratterizzato da lesioni che si inseriscono su di una situazione di originaria e residuale patologia: e, d’altra parte, è ovvio considerare che, in linea presso che costante, il danno iatrogeno è sempre un danno disfunzionale che si inserisce in una situazione in parte già compromessa, rispetto alla quale si determina un incremento differenziale del pregiudizio. L’imputabilità risarcitoria di tale “incremento” è tema che incrocia vari profili, riconducibili prevalentemente alla prefigurazione del nesso di causalità materiale e giuridica e, quindi, alle tematiche proprie del danno risarcibile secondo le regole della responsabilità contrattuale (una volta che si pretenda – secondo la oramai consolidato giurisprudenza – di ricondurre il rapporto paziente/struttura sanitaria-medico al campo delle obbligazioni da contatto sociale)…

… Da ciò la necessità, per evitare tale equivoco, di accertare da parte del giudice, sul piano della causalità materiale, l’efficienza eziologica della condotta rispetto all’evento in applicazione della regola di cui all’art. 41 cod. pen., così da ascrivere l’evento di danno interamente all’autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica allo scopo di evitare l’attribuzione all’autore della condotta, ” responsabile “tout court” sul piano della causalità materiale”, un obbligo risarcitorio che comprenda anche “le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all’evento di danno, bensì alla pregressa situazione patologica del danneggiato…”. v. sentenza 21 luglio 2011 n. 15991 della Corte di cassazione (v. anche Cass. 20996/2012).

Per completezza, può infine ricordarsi che la Suprema Corte, là dove ha affrontato il tema generale dell’individuazione del nesso causale ai fini della responsabilità risarcitoria in campi diversi della responsabilità sanitaria, con indirizzo coerente, chiaro e all’evidenza condivisibile, ha avuto modo di specificare che non sussiste nessuna responsabilità dell’agente per quei danni che non dipendano dalla sua condotta, che non rie costituisce un antecedente causale, e si sarebbero verificati ugualmente anche senza di essa, nè per quelli preesistenti, aggiungendosi “peraltro, debbono essere addebitati all’agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell’agente stesso per l’intero danno differenziale” (v. Cass. 24408/2011, 9528/2012).

… Quanto ora esposto vale a evidenziare che qualunque impostazione e soluzione voglia darsi alle problematiche proprie del danno iatrogeno incrementativo,  si pone comunque la necessità di procedere, sotto il profilo della causalità giuridica, a una selezione, nell’ambito della complessiva situazione di invalidità della parte lesa, delle conseguenze per individuare il danno alla persona oggetto dell’obbligo risarcitorio a carico del medico operante. Principio che inevitabilmente deve riflettersi anche sui criteri liquidatori di esso che non possono prescindere dal rilievo che assume la situazione preesistente sotto due principali profili:

a) non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta, così come verrebbe a determinarsi attraverso una automatica applicazione di tabelle con punto progressivo, computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità preesistente;

b) la liquidazione va necessariamente rapportata a una concreta verifica, secondo le allegazioni delle parti, delle conseguenze negative “incrementative” subite dalla parte lesa.

Profili che – ad avviso del tribunale – nell’ambito del danno iatrogeno difficilmente sono risolvibili con il ricorso ad uno schema liquidatorio rigido, proprio per la variabilità dei casi: si pensi ai diversi effetti che possono determinarsi a seconda che la complessiva invalidità sia la risultante della sommatoria di lesioni coesistenti che colpiscono diverse funzionalità, ovvero la condotta del sanitario abbia determinato una concorrente lesione che incide sulla medesima preesistente disfunzionalità. Distinzione, anche questa, certo non risolutiva ove si consideri che anche fatti negativi riguardanti funzionalità diverse possono portare non ad una mera sommatoria di distinti effetti negativi – da valutarsi in via autonoma ai fini risarcitori – ma comportare un effetto pregiudizievole sinergico, tale da incidere sulla concreta conduzione di vita della parte lesa, a seconda dell’età, del tipo di vita, della sua condizione familiare e di altri ipotizzabili fattori.

D’altra parte, non può non constatarsi che la stessa medicina legale non è riuscita a maturare una scelta univoca e prevalente in merito ai criteri di valutazione del danno incrementativo-differenziale, giacchè le proposte sinora elaborate hanno trovato una saltuaria disomogenea applicazione con assenza di un convinto riscontro giurisprudenziale…

Tanto premesso, fatta applicazione dei criteri indicati e in particolare delle tabelle di liquidazione del danno ex art. 139 D.Lgs. N. 209/2005, come aggiornate con D.M. 20.6.2014, si stima congruo un risarcimento per il danno biologico di natura permanente riportato da parte attrice di  € 3.849 (pari a 4 punti percentuali per € 3.207,52, aumentati del 20% circa per la personalizzazione, avuto riguardo alla complessità -per tipologia e durata- delle cure resesi necessarie in conseguenza dell’alterata regolarità del decorso post operatorio); per il danno da invalidità temporanea deve essere riconosciuta l’ulteriore somma di € 4.178,70, e così complessivamente € 8.027,72.

Deve dunque assegnarsi la complessiva somma di Euro € 8.027,72 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, tenuto conto degli aspetti non solo contingenti, in quanto legati alla sofferenza acuta conseguente alla condotta lesiva, ma anche del più ampio pregiudizio determinatosi in tutti gli aspetti della vita del paziente, in relazione al generale contesto affettivo e relazionale del danneggiato, in ciò ricomprendendosi ogni vulnus direttamente derivante dall’evento lesivo in esame, in una valutazione unitaria del danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’integrità fisica.

Il carattere oggettivamente contenuto della lesione permanente differenziale infine riportata, l’età e le condizioni di vita della parte lesa, impongono di ritenere soddisfatto ogni ulteriore aspetto del danno non patrimoniale dalla personalizzazione del quantum tabellare assegnato”.

Insomma il paziente ha riportato un maggior danno del 4% su uno comunque atteso del 6% e dunque oggi ha perso il 10% della sua validità fisica. E’ stato giudicato secondo i criteri liquidativi della Legge Balduzzi (sec. Il 139 D.Lgs. N. 209/2005), ed è stato liquidato 3.849€ per tale danno iatrogeno.

Il giudice arriva a queste conclusioni partendo da concetti tutti non criticabili in astratto ma nella sostanza si. Infatti afferma:

a) non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta, così come verrebbe a determinarsi attraverso una automatica applicazione di tabelle con punto progressivo, computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità preesistente;

Questo significa, al contrario, che è giusto che il maggior danno ricada sul paziente. Ma questa è giustizia? Le tabelle a punto progressivo se le è “inventate”, giustamente, il legislatore e devono innanzitutto essere applicate a tutti e non a “quasi tutti”.

Si è dato presuntivamente un valore 100% alla integrità psico-fisica che corrisponde a un determinato valore economico (prezzo). Quindi tutto deve essere adeguato a tali regole. Se così non fosse a ogni individuo spetterebbe una valutazione equitativa a seconda dell’entità del bene maltolto. Delle due l’una però!

Ammesso e non concesso che il paziente citato in sentenza subisse altri danni del 4% per successivi 10 sinistri da fatto illecito si vedrebbe risarcito 10 volte la somma (personalizzata) di € 3.849 per un totale di meno di € 44mila.

Tutto ciò corrisponderebbe quasi alla perdita funzionale di un’arto intero che se danneggiato in un solo sinistro varrebbe 10 volte tanto. Quindi il soggetto danneggiato perde l’arto e per la ‘sfiga’ di perderlo in 11 volte successive perde il 90% del valore.

Bingo!

b) la liquidazione va necessariamente rapportata a una concreta verifica, secondo le allegazioni delle parti, delle conseguenze negative “incrementative” subite dalla parte lesa.

Concetto giusto e sacrosanto. Esistono, però, tabelle anche di legge che valutano in % la perdita della funzionalità di un organo o sistema organo funzionale (prima presunzione), come esistono tabelle di legge e di valenza costituzionale (Tabelle di Milano) che danno un valore alla funzionalità persa (seconda presunzione).

Bene, se la perdita di integrità psico-fisica del 10%  vale “X” e se questo “X” è rappresentato da una scala di valori corrispondenti ai singoli valori contenuti da 1 a 10, ed esiste un autore di un fatto illecito che ha causato la perdita di parte di una funzionalità che ha valore superiore rispetto a quella già persa per altri motivi, perché non dovrebbe pagare la somma equivalente alla funzionalità persa?

Quale sarebbe l’ingiustizia rispetto a quella proposta dal Giudice di Milano?

Se per ingiustizia si intende far pagare il giusto all’autore del danno mentre per giustizia si intende danneggiare ulteriormente un soggetto già danneggiato, allora il Giudice ha centrato l’obiettivo, ma se così non fosse siamo arrivati davvero alla frutta e direi proprio a una frutta marcia!

 

Dr. Carmelo Galipò

Pres. Accademia della Medicina Legale

 

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