La famiglia della donna deceduta dopo il parto aveva ricevuto un risarcimento da 750 mila euro. Ora, la perizia scagiona i medici coinvolti

Svolta nella vicenda di una donna, deceduta dopo il parto nel 2014, per la cui morte era stato stabilito un maxi risarcimento nei confronti della famiglia.

Adesso, la perizia disposta dal magistrato ha di fatto scagionato completamente i tre medici coinvolti perché il fatto non sussiste.

Ma ecco che cosa era accaduto.

La paziente, 41 anni e già madre di due bambini, aveva partorito un feto nato morto. A distanza di una settimana, la donna era deceduta dopo il parto in ospedale a Cremona.

Secondo la perizia disposta dal magistrato però, a causare il decesso non fu, come inizialmente creduto, l’evoluzione di una sepsi batterica sfociata in shock settico irreversibile.

La morte della paziente, deceduta dopo il parto, è da addebitarsi a un ipertiroidismo derivato da un adenoma alle parotidi.

Pertanto, nessuna responsabilità è stata riscontrata da parte dei tre medici del reparto di Ginecologia finiti a processo con l’accusa di omicidio colposo. Sono quindi stati assolti il cremonese Alberto Rigolli, Aldo Riccardi, della provincia di Pavia, e Tazio Sacconi, piacentino residente a Cremona.

Inizialmente, infatti, secondo la procura, gli imputati non avrebbero riconosciuto i sintomi della paziente, “omettendo di richiedere una consulenza infettivologica urgente” e lasciando la donna “in una condizione di oggettivo difetto di assistenza, consistito in assenza di coordinazione della condotta medica, esitata nel mancato riconoscimento e valutazione dei chiari segni clinici che avrebbero consentito l’anticipazione diagnostica, già almeno 48 ore prima del decesso, della condizione di sepsi in atto”.

Per gli imputati, il pm onorario Silvia Manfredi aveva allora chiesto la condanna: 8 mesi ciascuno per Sacconi e Rigolli, 6 mesi per Riccardi. Ma il giudice ha deciso diversamente.

‘Un caso eccezionale”, così lo hanno definito i legali della difesa. A fare la differenza è stata infatti proprio la perizia disposta dal magistrato. Da essa è emerso che il decesso della 41enne è da addebitarsi alla rottura di un nodulo paratiroideo con conseguente emorragia.

La tiroide ha prodotto più ormoni paratiroidei che hanno causato squilibri elettrolitici, in particolar modo un accumulo di calcio. Un nodulo di 6 centimetri che, tra l’altro, la paziente non sapeva di avere.

Come aggiunto dall’avvocato Isabella Cantalupo per la difesa Sacconi: “Neppure le diverse figure specialistiche che erano state chiamate dagli imputati erano arrivate a capire la causa della morte della signora. Tanto meno potevano farlo i ginecologi, che comunque hanno sempre seguito la paziente con scrupolo e precisione. Sono sempre stati sul pezzo: da parte loro l’assistenza alla donna non è mai mancata, e in particolar modo il mio cliente ha effettuato il maggior numero di richieste specialistiche di intervento”.

Nel processo non c’era la parte civile, già uscita dal procedimento giudiziario nel settembre del 2016.

Ciò in quanto la Compagnia assicurativa dell’ospedale aveva già risarcito con la cifra di 750.000 euro il marito della vittima e i due figli della coppia.

Ed è proprio su questo maxi risarcimento alla famiglia della vittima che il primario Riccardi è intervenuto.

“Faccio appello – dichiara – al buon senso di chi ha ricevuto risarcimenti non dovuti, mi appello alla loro coscienza”.

“Queste accuse che ci sono cadute addosso – ha dichiarato ancora Riccardi – ci hanno giocato contro sia a livello personale che professionale. Ci ha salvato la consulenza dei periti del giudice che hanno fatto un lavoro egregio. Per questa signora ci siamo davvero prodigati”.

La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.

 

 

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