Sul ruolo e l’utilizzo degli specializzandi nel SSN anche il segretario generale del Sindacato Medici Italiani esprime le sue perplessità in una intervista a «Responsabile Civile»: no all’accesso senza specializzazione in sostituzione del personale necessario

«Possiamo essere d’accordo con maggiori mansioni e maggiore autonomia negli ultimi anni del corso di specializzazione che possono essere anche retribuiti rispetto, ad esempio, a una borsa di studio. Però, sicuramente, gli specializzandi in corsia non possono essere utilizzati per andare a saturare gli organici». Così Pina Onotri, segretario generale SMI – sindacato medici italiani – interviene sulla questione della formazione specialistica e dell’accesso al mondo del lavoro, nodo cruciale del Patto per la Salute.

Parlando con «Responsabile Civile» la Onotri delinea la «triste realtà» italiana: «con il blocco del turnover, il personale che è uscito dal mondo del lavoro non viene rimpiazzato e ci troviamo, già ad oggi e soprattutto nelle strutture ospedaliere, in carenza di organico». Questa situazione è così grave, ci spiega ancora, «che non riusciamo a rispettare i turni di riposo così come li ha definiti l’Europa, proprio perché non abbiamo personale».

Ecco allora che entrano in gioco gli specializzandi che, «immessi in questi ruoli, potrebbero poi di fatto andare a saturare una carenza strutturale». Tuttavia, è bene ricordare  che «una cosa è un percorso formativo, e una cosa è un percorso assistenziale. Formazione e assistenza sono due cose completamente separate e noi rischiamo di creare medici di serie a e medici di serie b». Insomma, secondo lo SMI, se si stabilisce che il percorso formativo sia completo con 6 anni di diploma di laurea di base più quattro anni di specializzazione, solo al termine del percorso si potrà entrare a pieno titolo nel panorama del lavoro. La realtà, tuttavia, è complicata da un’errata programmazione: «ogni anno laureiamo circa 9mila medici, per farne specializzare 5mila perché, per questioni economiche, è quello il numero di borse di studio che abbiamo a disposizione. Creiamo, così, una sorta di imbuto e una platea di medici solo abilitati che, però, nel Sistema Sanitario Nazionale non possono lavorare. Nel contempo, tuttavia, ci troviamo in situazioni grottesche di carenza di personale che è destinata ad aumentare nei prossimi anni».

La precisazione del segretario generale dello SMI è molto chiara: «Non si possono creare due percorsi per l’accesso al mondo del lavoro. Si dovrebbe programmare il fabbisogno tenendo conto di dati reali e incrementare il numero di borse di studio: se a noi servono, non possiamo su questo essere condizionati da vincoli economici».

Eppure, quello dei vincoli economici, sembra essere un problema che si riflette poi anche a livello regionale, dove i piani di rientro impongono tagli che spesso impediscono alle strutture pubbliche di garantire i LEA (livelli assenziali di assistenza). «È un po’ un cane che si morde la coda» spiega ancora la dottoressa Onotri a Responsabile Civile. «Ad oggi la situazione è questa: abbiamo molti laureati che non riescono a specializzarsi e c’è una platea di persone solo abilitate che vengono sfruttate al di fuori del sistema sanitario nazionale anche da strutture private con paghe molto basse; di contro, nel pubblico si può avere l’accesso solo con la specializzazione, però non abbiamo un numero adeguato di borse di studio». Per sopperire a questa carenza di personale dunque, si ricorre agli specializzandi, ma, ci ricorda Onotri, «è un utilizzo improprio, perché si tratta di colleghi che stanno completando la formazione e andrebbero sempre affiancati da un tutor fino alla fine del loro percorso. Anche laddove è giusto che lo specializzando abbia maggiore autonomia, non si devono comunque confondere i due piani, quello assistenziale e quello formativo».

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