Il codice deontologico detta norme precise per quel che concerne la dialettica tra avvocati: vietate espressioni offensive e sconvenienti

Quando si parla di dialettica tra avvocati, processuale e non, questa assume spesso dei toni aspri ma è bene ricordare che il codice deontologico stabilisce norme ben precise a riguardo.

Il codice deontologico forense, all’art. 19, precisa infatti che l’avvocato è tenuto a mantenere nei confronti dei colleghi e delle Istituzioni forensi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà.

Vi sono poi una serie di prescrizioni riguardanti la dialettica tra avvocati nel codice stesso, legate proprio al rapporto di colleganza e ai comportamenti da tenere per non incorrere in illeciti disciplinari.

L’art. 52 del codice, in particolare, dispone a carico dell’avvocato un divieto di uso di espressioni offensive e sconvenienti.

E questo sia negli scritti in giudizio che nell’esercizio dell’attività professionale, nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi. Chi viola tale divieto rischia di incorrere nella sanzione disciplinare della censura.

Nello stesso codice deontologico, si chiarisce che la “ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono la rilevanza disciplinare della condotta”.

Secondo la giurisprudenza (ex multis SS.UU., sent. n. 11370/2016) la norma si sostanzia nell’obbligo all’avvocato, di non usare espressioni sconvenienti e offensive nei confronti dei colleghi. E questo “nell’attività professionale in genere” e a prescindere dalle conseguenze civili e penali.

Il tema della dialettica tra avvocati è, come noto, piuttosto spinoso. Lo dimostra la copiosa giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense che si è trovato, spesso, a valutare proprio l’uso di espressioni utilizzate dagli avvocati nei confronti dei colleghi.

Il CNF, infatti, ha ribadito che il diritto-dovere di difesa non giustifica l’uso di espressioni sconvenienti.

Si tratta delle espressioni che entrano nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, del biasimo e della deplorazione dell’operato dell’avvocato della controparte.

Va inoltre considerato implicito l'”animus iniuriandi” nella libera determinazione di introdurre quelle frasi all’indirizzo di un altro difensore in una lettera o in un atto difensivo.

Ancora, per i giudici, quando la disputa ha un contenuto oggettivo e riguarda le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni. Ma, precisano, quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti denigratori.

Ne consegue che non sempre l’avvocato potrà evitare una sanzione disciplinare aggrappandosi alla “scriminante” della tutela del diritto di difesa e critica.

A titolo esemplificativo ecco una serie di espressioni censurate dalla giurisprudenza disciplinare.

Il Cnf, ad esempio, ha ritenuto di condannare l’avvocato che aveva accusato il collega avversario di comportamenti volutamente “maliziosi” e diretti non all’esercizio delle sue funzioni di Curatore, ma ad ottenere, a vantaggio del Fallimento, l’adempimento di diritti che (a suo dire) il Curatore sapeva inesistenti. Ugualmente grave è dare del mediocre al collega avversario.

Sanzioni anche per il legale che ha accusato il collega di controparte di aver agito giudizialmente al fine di “spillar quattrini” al suo assistito (CNF, sent. 231/2017). Sanzionato anche l’avvocato che aveva definito il collega di controparte come “professionista superficiale, credulone e poco accorto”. Il tutto, al fine di denigralo e renderlo ridicolo agli occhi del giudice (CNF. sent. 207/2017).

Dare dell’ignorante e saccente per poter “lucrare sulle spese” (CNF, sent. 63/2017), è un altro caso di frase offensiva.

Infine, il Consiglio Nazionale Forense (sent. 195/2006) ha ritenuto disciplinarmente rilevante anche il comportamento del professionista che, durante l’udienza, aveva privato la collega del dovuto titolo di Avvocato, qualificandola semplicemente “signora”.

 

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