La vicenda in esame è interessante perché muove dalla lettura dell’art. 500 comma 4 del c.p.p. che disciplina l’ipotesi di acquisizione al dibattimento, delle precedenti dichiarazioni rese dalla persona offesa, rilasciate cioè nel corso delle fasi precedenti, qualora vi sia il sospetto che essa sia stata minacciata o abbia subito intimidazioni

Il principio informatore del processo penale è l’oralità; ma con la citata previsione normativa il legislatore ha inteso prevedere un escamotage per preservare la genuinità delle dichiarazioni dalla persona offesa. Quest’ultima, infatti, nel corso del procedimento penale potrebbe subire pressioni o minacce dall’indagato ed essere, perciò, “costretta” a ritrattare o a mutare il contenuto delle proprie deposizioni.

Il caso

La persona offesa dal reato di rapina aveva dichiarato di aver subito minacce e pressioni da parte dell’imputato.

Quest’ultimo, al contrario, negava tutto quanto e, in particolar modo, contestava la ricostruzione dei fatti oggetto di imputazione.

Egli, lungi dal voler commettere il reato contestato, si reputava colpevole unicamente di aver minacciato i carabinieri, intervenuti sulla scena del crimine, a seguito di segnalazione della persona offesa, agitando una bottiglia rotta contro di loro.

Cosicché, terminato il giudizio d’appello, la vicenda proseguiva in Cassazione.

Con un ricorso ampiamente articolato, il difensore dell’imputato lamentava:

a) la violazione di legge in relazione all’acquisizione e all’utilizzo della denuncia della persona offesa in difetto di consenso da parte dell’imputato.

b) la violazione e falsa applicazione dell’art. 500 c.p.p., commi 4 e 5 in relazione alla insussistenza di elementi concreti a sostegno della presunta minaccia subita dalla persona offesa e la carenza assoluta di accertamenti per verificare la sussistenza di tale coartazione.

I fatti, a detta dell’imputato, si erano svolti nel seguente ordine: il giorno dell’udienza fissata per sentire la persona offesa, il Tribunale, nonostante questa si fosse regolarmente presentata in giudizio, ne aveva disposto inizialmente il rinvio per sentirla alla presenza di un interprete (trattandosi di persona straniera).

Senonché, al sentire degli operanti presenti in sala testimoni che dichiaravano che la stessa persona offesa asseriva di aver subito intimidazioni da parte dell’imputato, il predetto tribunale disponeva l’ordine di acquisizione dei verbali di dichiarazioni predibattimentali, revocando la precedente ordinanza.

In tal modo, il giudice di merito avrebbe violato il principio di diritto secondo cui quando il testimone oggetto di pressioni non si sottrae all’esame dibattimentale è illegittima l’acquisizione delle dichiarazioni stesse senza procedere all’esame del teste asseritamente minacciato. (Cass. sent. n. 37868/2014);

Il giudizio della Cassazione

Ebbene, i giudici della Cassazione hanno ritenuto fondato tale motivo di ricorso, quello attinente cioè, alla acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese dal teste.

Quanto alla questione se l’applicazione della disciplina di cui all’art. 500 c.p.p., comma 4, postuli la previa audizione dibattimentale del dichiarante, vale la pena ricordare le considerazioni e conclusioni già proposte dalla giurisprudenza di legittimità laddove si è affermato che, qualora il testimone destinatario di pressioni volte ad inquinare la genuinità della prova non si sottragga all’esame dibattimentale, è illegittima l’acquisizione a fini probatori, ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma 4, delle dichiarazioni predibattimentali in precedenza rese dallo stesso, se prima non si procede al suo esame (Sez. 2, Sentenza n. 37868 del 13/06/2014).

Al contrario, nel caso in esame, i giudici di merito avevano fondato l’opposto convincimento facendo applicazione del principio di diritto contenuto nella sentenza n. 27582 del 2010 della Cassazione, secondo cui: “L’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese al Pubblico Ministero dal testimone “condizionato”, ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma 4, non richiede né la loro preventiva contestazione, né la presentazione del testimone al dibattimento perché l’espressione “sono acquisite”, impiegata dalla norma citata, indica un automatismo che ne consente l’acquisizione anche in assenza di una richiesta delle parti“.

Ma non avevano tenuto conto del fatto che in questa sentenza la vicenda era ben diversa. Ci si riferiva cioè all’ipotesi in cui la dichiarante che si assumeva essere stata vittima di violenze e/o minacce volte ad inquinare la genuinità delle sue future dichiarazioni dibattimentali, o ad incidere tout court sulla sua volontà di rendere l’esame, non si era presentata in dibattimento.

Dunque, tale principio, peraltro confermato in altre e più recenti sentenze (Sez. 3, sentenza n. 12463 del 14 dicembre 2011): “Sono utilizzabili e legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento ex art. 500 c.p.p., comma 4, le dichiarazioni predibattimentali della persona offesa, vittima di violenza sessuale, che, per sottrarsi a gravi intimidazioni finalizzate ad evitarne la deposizione o a ritrattare le accuse, sia costretta a rendersi irreperibile e non compaia in udienza per testimoniare”), non poteva trovare applicazione alla fattispecie concreta oggetto dell’odierno ricorso, caratterizzata dal fatto che la P.O., per nulla irrimediabilmente intimidita, aveva denunciato le pressioni ricevute e si era presentata in dibattimento per rendere il chiesto esame.

Tale ultima circostanza, per nulla trascurabile, aveva reso illegittimo il rifiuto di procedere al suo esame dibattimentale, in contradditorio con l’imputato.

L’art. 500 c.p.p.

Una simile conclusione è, in verità, indotta dallo stesso rilievo letterale dell’art. 500, comma 4 c.p.p. che, nel disporre la procedura acquisitiva in deroga alla disciplina generale (dell’oralità), richiede la presenza, in via alternativa, di una delle seguenti situazioni:

– la non accettazione (in tutto od in parte) del contraddittorio da parte del testimone (“affinché non deponga”), in presenza della quale non sarebbero tout court ammesse contestazioni;
– l’accettazione del contraddittorio da parte del testimone (“o deponga il falso”), il quale renda, peraltro, dichiarazioni dibattimentali difformi rispetto a quelle predibattimentali solo perché inquinate dall’intervento della indebita turbativa esterna.

In quest’ultima fattispecie, il riferimento all’eventualità di una precedente contestazione (e quindi alia necessita che l’esame abbia luogo), pur se non normativamente esplicitato, deve ritenersi implicito, ove si consideri che l’art. 500 c.p.p. null’altro disciplina se non la materia delle contestazioni in corso dell’esame dibattimentale del testimone.

Ciò trova ulteriore conferma anche nella giurisprudenza di legittimità ove si afferma che “quando l’esame dibattimentale sia possibile, le contestazioni nell’esame testimoniale costituiscono l’unico strumento processuale per far rilevare la divergenza tra le dichiarazioni rese dal teste in dibattimento e quelle dallo stesso rese in fase di indagini preliminari” (Sez. 3, sentenza n. 39319 del 5 giugno 2009).

Appare perciò evidente, secondo il giudizio della Cassazione, che nella fattispecie in esame, non ricorresse la prima delle alternative citate di cui all’art. 500 c.p.p., comma 4 che avrebbe giustificato l’acquisizione delle dichiarazioni della persona offesa rese nelle precedenti fasi del processo.

E, in difetto dell’esame del dichiarante, non poteva neppure ritenersi verificata la seconda condizione alternativa, non essendo dato sapere se il dichiarante avrebbe o meno deposto il falso.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 

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