Gli schemi comportamentali e cognitivi del narcisismo sono orientati alla difesa dalle cosiddette ‘ferite narcisistiche’, cioè “attacchi” alla propria immagine, considerata eccezionale e grandiosa

Il Narcisismo, in un’accezione psicologica ben differente da quella popolare – che denota ammirazione eccessiva e compiaciuta per sé stessi e le proprie azioni (Hoepli 2018) – è caratterizzato da pattern cognitivi e comportamentali che, pur esprimendo autostima ipertrofica, quindi iper- valutazione di sé e delle proprie capacità, sottendono una solitudine e un vuoto esistenziali che hanno radici molto profonde.
Da una prospettiva teorica che fa riferimento alla psicologia del Sé, Kohut ritiene che alla base della personalità narcisistica vi sia un fallimento empatico da parte del sistema di accudimento, cioè una risposta non adeguata dei genitori ai bisogni reali, emotivi ed affettivi, del bambino che ha impedito un sano sviluppo del Sé, bloccandolo ad una fase evolutiva infantile e avente modalità relazionali primitive ed estremamente sensibili alle frustrazioni.
Per dirla alla Winnicot, teorico della teoria dell’attaccamento, l’ambiente accudente della personalità narcisistica, durante le fasi di vita precoci, non ha permesso al bambino di sperimentare l’alterità del mondo esterno, scoraggiando le spinte esplorative e di autonomia, “costringendolo” ad assicurarsi la vicinanza emotiva del caregiver a costo della propria autenticità.
Quella che avviene è una vera e propria dissociazione dei propri bisogni di dipendenza e dei propri stati emotivi, venendosi a configurare, così, un falso Sé che ha il compito di proteggere l’individuo dalle frustrazioni emotive. Altri autori, come Moddel e Volkan, hanno trattato il ritiro narcisistico dagli oggetti (relazioni, emozioni) come un rivolgimento difensivo verso il proprio Sé atto a proteggersi da una dipendenza che fa soffrire.
Il soggetto Narcisista, in ultima analisi, non ha avuto la possibilità di sperimentare sé stesso e il mondo esterno perché impegnato ad assicurarsi dipendenza da un caregiver non adeguato, sviluppando una personalità inautentica e, per questo, estremamente sensibile alle frustrazioni e alle delusioni.
Il Disturbo Narcisistico di Personalità si caratterizza in un pattern pervasivo di:
–   Grandiosità (nella fantasia e/o nel comportamento)
–   Costante bisogno di ammirazione;
–   Mancanza di empatia
L’autostima è eccessivamente elevata – parliamo di narcisismo overt – o troppo bassa, narcisismo covert – proprio per il senso di inautenticità sperimentato già in età precoce; per questo stesso motivo il narcisista tende a compiacere le aspettative degli altri al fine di evitare eventuali critiche e disappunti, in tal caso, poi, sperimenta intensi sentimenti depressivi, di vergona e di invidia.
Strategie di compensazione circa la propria inferiorità, quindi, esitano in estrema autoesaltazione e/o costante svalutazione degli altri, allo scopo di rafforzare l’immagine idealizzata di sé; secondo una prospettiva cognitivo-comportamentale, infatti, il nucleo patologico del disturbo di personalità narcisistica è uno schema disfunzionale connotato dalla necessità di sentirsi speciale e superiore per sfuggire a mortiferi sentimenti di inferiorità, inadeguatezza e vuoto.
Gli schemi comportamentali e cognitivi della personalità narcisistica sono orientati alla difesa dalle cosiddette ‘ferite narcisistiche’, cioè “attacchi” alla propria immagine, considerata eccezionale e grandiosa, alle quali, inibendo i propri vissuti depressivi e di tristezza, risponde con arroganza, aggressività e svalutazione dell’altro.
Indubbio, gli studi sulla personalità risentono fortemente del contesto socioculturale in cui si sviluppano, le descrizioni di quest’ultima, infatti, rispecchiano il modo in cui l’individuo si rappresenta e dal modello sociale in cui è inserito; componenti biologiche, vissuto psicologico, contesto ambientale e socioculturale sono in stretta interdipendenza, al punto che determinati quadri psicopatologici si sviluppano con più facilità quando risultano deficitari alcuni fattori di protezione, lasciando un margine più ampio, invece, a fattori di rischio predisponenti.
Alcuni autori, Millon, Grossman, Paris, hanno affermato che vi è una corrispondenza tra grado di flessibilità/rigidità di norme, valori e tradizioni sociali e dinamiche psicologiche e comportamenti sociali degli individui. Non a caso, la modificazione di suddetta flessibilità/rigidità nel sistema di valori della nostra cultura occidentale ha causato una vera e propria esplosione di alcune patologie caratterizzate da vergogna e senso di colpa, inadeguatezza e senso di vuoto.
Nel nuovo assetto sociale si sono modificate le pratiche connesse all’accudimento e all’allevamento dei figli, sempre più isolati e assorbiti dagli schermi, ormai veicolo di ogni relazione, è mutata, quindi, l’esperienza del sistema familiare, intesa come il “vivere” la propria famiglia; sono variati gli eventi di vita, i fattori economici e le influenze sociali.
Kohut, già quarant’anni fa, mise in evidenza l’emergere di un uomo tragico, il cui struggimento nasce dal vedere frustrati i propri bisogni emotivi di sviluppo e affermazione della propria identità. L’uomo tragico è proprio il narcisista del nostro tempo, incapace di mobilitare le capacità adattive e le risorse necessarie a far fronte alla transazione sociale e culturale della nostra era; inconsapevolmente paralizzato dalla certezza che le fondamenta della nostra società consumistica, in cui è stata esasperata la funzione dell’immagine, sinonimo di benessere, stiano rovinosamente per cedere sotto il peso dell’inadeguatezza del proprio operato.
Il patologico bisogno di ammirazione e approvazione è il veicolo del tratto narcisistico di personalità nella odierna società occidentale – non ci riferiamo, ovviamente, al disturbo conclamato, nella sua completezza di segni e sintomi – che ci lascia orfani di comunicazioni reali con l’altro veicolandole attraverso media e social media; che ruba il nostro tempo per disporlo alla frenetica rincorsa del “sempre meglio, sempre più grande” (macchina, TV, cellulare, casa, ufficio, stipendio) senza possibilità, per gli individui, di sperimentare la propria e la altrui autenticità. Il tratto di personalità è definito come una disposizione comportamentale dell’individuo relativamente stabile, quindi, difficilmente modificabile (Eysenk, 1990) .

Dott.ssa Giusy Ferlisi

Psicologa Clinica e Giuridica

Leggi anche:
RELAZIONI FAMILIARI: EMERGENZA BULLISMO NEI CONTESTI SCOLASTICI
 

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui