Il caso in commento ha posto in rilievo una questione giuridica molto interessante: ci si domanda se le dimissioni del lavoratore comunicate durante un contratto a tempo determinato possano avere efficacia soltanto nell’ambito del contratto medesimo o anche nell’accertando rapporto di lavoro a tempo indeterminato

Come si fa a stabilire, in assenza di prova della consapevolezza e volontà del lavoratore, se questi volesse interrompere non già il contratto a termine, bensì il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, successivamente dichiarato in giudizio?
La questione è stata affrontata dalla Sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza n. 7318/2019.

La vicenda

La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra la Rai s.p.a. e un proprio dipendente, con decorrenza dal 10 marzo 2004, disponendo pertanto, la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, prevedendo in favore di quest’ultimo il risarcimento del danno dovuto in una somma pari a dieci mensilità della retribuzione globale di fatto.
In primo grado, il giudice adito, aveva ritenuto non applicabile tale conversione dal momento che dopo i primi quattro contratti a termine, il lavoratore si era dimesso per motivi personali.
Ma in realtà per il giudice dell’appello, qualora il lavoratore rassegni le proprie dimissioni nel corso di una serie di contratti a termine e successivamente agisca in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto a ciascuno di essi e la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, non si può ritenere che le dimissioni impediscano la conversione, essendo necessario accertare se la volontà di recedere da un rapporto di lavoro a tempo determinato sussistesse anche in relazione ad un rapporto di lavoro stabile.
Detto in altri termini la corte d’appello capitolina aveva ritenuto che le rassegnate dimissioni non potessero incidere sulla conversione del rapporto.

Il ricorso per Cassazione

Per la cassazione di tale sentenza, interveniva la società Rai s.p.a. proponendo un ricorso affidato a tre motivi.
In primo luogo, la società datrice di lavoro rilevava l’incongruenza della decisione rispetto ad una chiara manifestazione di volontà del lavoratore costituita dalle rassegnate dimissioni. Ciò di per sé avrebbe dovuto ritenersi idonea a estinguere qualsiasi rapporto tra le parti.
Ed invero, tale motivo di impugnazione è stato accolto dai giudici della Cassazione, con assorbimento dei restanti due.
Sulla questione sollevata dalla società ricorrente già da tempo parte della giurisprudenza si è espressa affermando che “le dimissioni del lavoratore da un contratto a tempo determinato, facente parte di una sequenza di contratti similari succedutisi nel corso degli anni, esplica i propri effetti anche con riferimento al rapporto a tempo indeterminato accertato dal giudice, con sentenza dichiarativa della nullità del primo dei contratti di lavoro a termine, salvo che il lavoratore non dimostri che le dimissioni sono viziate da errore, sotto forma di ignoranza della sopravvenuta conversione del rapporto, sicché da esse non derivano effetti limitati alla sola anticipazione della data di scadenza del rapporto a tempo determinato cui esse si riferiscono, ma anche sulla continuità del rapporto a tempo indeterminato, la cui esistenza sia accertata successivamente dal giudice” (Cass. n. 12856 del 2015).
Ancor più di recente, è stato precisato che le dimissioni del lavoratore da un contratto a tempo determinato, facente parte di una sequenza di contratti similari succedutisi nel corso del tempo, esplicano i propri effetti sul rapporto intercorso tra le parti ma non elidono il diritto all’accertamento dell’invalidità del termine apposto al primo contratto di lavoro, permanendo l’interesse alle conseguenze di ordine economico che da tale nullità parziale scaturiscono (Cass. 1534 del 2016).

Le dimissioni come causa inequivocabile di risoluzione del rapporto di lavoro

Secondo tale orientamento, la dichiarazione di recesso del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea ex se a produrre l’effetto della estinzione del rapporto, che è nella disponibilità delle parti, a prescindere dai motivi che ebbero a determinare le dimissioni (a meno che queste non risultino viziate come atto di volontà) e dalla eventuale esistenza di una giusta causa, posto che, anche in tal caso, l’effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento illegittimo o ingiustificato, ad un atto negoziale del lavoratore, che è preclusivo di un’azione intesa alla conservazione del medesimo rapporto (v. Cass. n. 6342 del 2012).
Del resto, -aggiungono gli Ermellini – “le dimissioni del lavoratore costituiscono un atto unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo e, in quanto riferibili ad un diritto disponibile del lavoratore, sono sottratte alla disciplina dell’art. 2113 c.c.”
Incombe, poi, eventualmente sul lavoratore, in base al principio di cui all’art. 1427 c.c., l’onere di chiedere l’annullamento delle dimissioni che siano viziate da errore, violenza o dolo.

Il principio è stato confermato anche in altre sentenza di legittimità.

E per tali ragioni che i giudici della Sezione Lavoro della Cassazione hanno accolto il ricorso presentato dalla società datrice di lavoro, posto che nessun dubbio residuava in ordine alla possibilità di affermare che l’effetto risolutorio delle dimissioni presentate dal dipendente Rai fossero preclusive di qualsiasi azione volta alla conservazione del medesimo rapporto.
La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, per un nuovo esame di merito della causa.

La redazione giuridica

 
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