Una sentenza della Corte d’Appello di Milano ha fornito importanti chiarimenti sul risarcimento dei danni non patrimoniali ai pendolari a causa dei disagi sui treni.

Con la sentenza n. 3756/2017 la Corte d’Appello di Milano si è pronunciata su un tema caro a molti: vale a dire i disservizi sui treni e la possibilità, per i pendolari che tutti i giorni ne usufruiscono, di ottenere un risarcimento.

Questi i fatti che hanno originato la pronuncia in esame.

Una nota compagnia ferroviaria è stata condannata a risarcire i danni non patrimoniali, richiesti per mezzo di una apposita class action, occorsi a migliaia di pendolari.

Questi danni erano stati causati da eccezionali e frequenti disservizi sui treni, che si erano protratti per ben 9 giorni.

La compagnia ferroviaria era stata accusata di avere introdotto, senza alcuna previa sperimentazione, un nuovo software di organizzazione dei turni di lavoro del personale dipendente.

Ma a causa di un grave black out il suo funzionamento era stato inevitabilmente compromesso, causando enormi disagi e disservizi sui treni.

Per 9 giorni si erano susseguiti ritardi, sovraffollamento nelle carrozze, soppressioni di treni e assenza di informazioni adeguate rivolte all’utenza.

I pendolari hanno quindi proceduto alla class action. Su tale punto, occorre una premessa.

La class action ha il vantaggio di avere costi molto bassi, in quanto i partecipanti contribuiscono con poche risorse, spesso anche gratuitamente, e non si fanno carico del rischio insito nel processo.

Ma c’è un “però”. Essa non consente allegare quei pregiudizi che caratterizzano il danno della singola persona, perché deve fare i conti con il limite posto dal principio di omogeneità. Quindi, un’azione che vede ad es. 1.000 partecipanti si fa carico della tutela di un interesse unico e uguale per tutti.

Ora, in primo grado, il Tribunale di Milano aveva rigettato la domanda dei pendolari. I giudici avevano infatti ritenuto sufficienti gli indennizzi previsti dal Contratto di servizi in essere tra la Compagnia ferroviaria e la Regione Lombardia.

Non è tutto. Secondo i giudici di prime cure, anche le normative comunitarie stabiliscono i risarcimenti minimi in caso di ritardo, fissando i relativi criteri di calcolo.

In particolare, ci si riferisce all’art. 17 del Regolamento CE n. 1371/2007 relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario.

Nell’interpretazione fornita dal Tribunale, tuttavia, l’art. 17 farebbe salva la possibilità, per i passeggeri costretti a subire un susseguirsi di ritardi o soppressioni di servizio durante il periodo di validità dell’abbonamento o del biglietto, di richiedere ulteriori somme a titolo di risarcimento.

In particolare, per quei danni, patrimoniali o non patrimoniali, che scaturiscono dalla lesione delle singole posizioni soggettive.

Ma ciò vale solo al di fuori dell’azione di classe disciplinata dall’art. 140 bis del Codice del Consumo.

Al contrario, gli utenti sostenevano invece che gli indennizzi minimi previsti dalla legge comunitaria e dal Contratto di servizi non potessero ritenersi adeguati o sufficienti a compensare i gravissimi disagi sofferti a causa dei disservizi sui treni.

Ma anzi, era da riconoscersi il loro diritto ad un risarcimento certamente maggiore.

Ebbene, la Corte di Appello di Milano ha poi accolto le istanze dei pendolari.

I giudici hanno infatti dimostrato nel caso di specie l’inadempimento contrattuale della Società, escludendo di fatto l’operatività degli usuali criteri di indennizzo.

Criteri applicati normalmente dalla Compagnia in occasione di ritardi fisiologici, e dunque diversi da quelli per i quali i pendolari hanno chiesto un risarcimento.

La decisione, secondo i giudici territoriali, non confligge infatti con il disposto dell’art. 140 bis del Codice del Consumo.

E aggiungono i giudici “nulla escludendo che, al di là del quantum indennitario calcolato secondo i criteri uniformi indicati dall’art. 17 del Regolamento CE per l’ipotesi di mero ritardo, possa ipotizzarsi la configurabilità di ulteriori danni legati a disservizi nell’esercizio del trasporto ferroviario, ugualmente “omogenei” e dunque suscettibili di tutela mediante la proposizione di azione di classe”.

Pertanto, alla luce di tali considerazioni la Corte ha detto sì al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c..

Danni scaturiti dalle “afflizioni, i patimenti, le angosce connesse alle estenuanti attese e alle limitazioni sofferte rispetto alla propria libera circolazione, nonché all’esigenza di reperire mezzi di trasporto alternativi”.

Tuttavia, occorre anche segnalare quanto segue.

Sebbene il risarcimento sia stato riconosciuto ai pendolari, il cosiddetto principio di omogeneità ha impedito la personalizzazione del danno.

Ciò significa che il giudice ha quantificato una somma equa ma omogenea per ciascun partecipante all’azione, calcolata in 100,00 euro a testa. Ma applicando tale criterio, non vi è stata nessuna tutela per chi, a causa di questi disservizi sui treni, ha perso magari un’occasione di lavoro importante, o non ha potuto prendere parte a un concorso cui era iscritto.

E questo nonostante avesse adempiuto alla “sua” di prestazione. Vale a dire il pagamento del biglietto o dell’abbonamento.

 

 

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