Un team di ricercatori di Università di Bologna, Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna (Irccs), Università di Warwick e Università di Birmingham ha messo a punto un nuovo test per diagnosticare più rapidamente i disturbi dello spettro autistico

Un team di ricercatori di Università di Bologna, Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, Università di Warwick e Università di Birmingham ha messo a punto un test che potrebbe rendere più rapide le diagnosi dei disturbi dello spettro autistico.

Si tratta del primo studio di questo tipo. Una ricerca che potrebbe portare a diagnosi più precoci nei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, favorendo così trattamenti più tempestivi.

Il test – pubblicato su Molecular Autism – si basa sull’individuazione, attraverso biomarcatori nel sangue e nelle urine, di danni alle proteine plasmatiche.

Un risultato molto importante, questo, che potrebbe portare in futuro a fare luce su cause non ancora identificate alla base dei disturbi dello spettro autistico. Una strada che potrebbe contribuire a mettere a punto nuove terapie. Terapia la cui efficacia sarà maggiore se precocemente applicate.

I disturbi dello spettro autistico (ASD) sono disturbi del Neurosviluppo. Impattano soprattutto sulle interazioni sociali e possono comprendere un’ampia gamma di problemi comportamentali.

Tra questi vi sono anomalie nella comunicazione, stereotipie e iperattività. Ma anche ansietà, difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti, disturbi sensoriali e, a volte, disabilità intellettiva.

I sintomi possono essere molto eterogenei e, soprattutto in età precoce, molto sfumati.

Per tali ragioni ottenere una diagnosi certa prima di 24-36 mesi di età è estremamente complesso.

Le cause di questo tipo di disturbi sono ancora poco chiare. In circa un terzo dei casi possono essere riconosciute motivazioni genetiche. Ma per il restante 65–70% dei soggetti colpiti si ritiene che l’autismo sia causato da una combinazione di fattori.

Da quelli ambientali alle mutazioni multiple, oltre a varianti genetiche rare.

“Questa ricerca – spiega Marina Marini, del Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale dell’Alma Mater, che ha coordinato il gruppo bolognese – mette in luce il ruolo dello stress ossidativo in una patologia del Neurosviluppo e identifica alterazioni biochimiche comuni in bambini che hanno sicuramente background genetici diversi”.

“Ipotizziamo – prosegue la ricercatrice – che sia l’instaurarsi di queste disfunzioni durante il periodo prenatale o nei primi mesi di vita che, alterando l’epigenetica delle cellule nervose, provoca alterazioni simili a quelle dovute a mutazioni genetiche”.

Si è riscontrato che nei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico vi sono livelli più elevati di uno specifico marcatore di ossidazione.

Si tratta della di-tirosina (DT), e di composti denominati “Advanced Glycation Endproducts” (AGEs).

Dalla ricerca, inoltre, è arrivata anche una conferma importante. Ovvero che nell’autismo è coinvolta un’alterazione dei trasportatori di aminoacidi. Questa genererebbe una rara mutazione genetica che determina autismo.

Nei bambini studiati, però, le cause dell’alterazione potrebbero essere di tipo epigenetico e non genetico. Ciò significa che sono potenzialmente modificabili.

“La nostra scoperta – spiega Naila Rabbani, di Experimental Systems Biology all’Università di Warwick – potrebbe portare a una diagnosi e a interventi terapeutici più precoci”.

Per realizzare lo studio, il Centro Disturbi dello Spettro Autistico di Bologna ha realizzato una valutazione clinica su 38 bambini affetti da disturbi dello spettro autistico. Oltre a loro, era presente un gruppo di controllo composto da 31 bambini neurotipici. Questi erano tutti di età compresa tra 5 e 12 anni.

Il team dell’Università di Warwick, guidato da Naila Rabbani, ha poi studiato campioni di sangue e di urina, evidenziando le differenze chimiche tra i due gruppi.

Un ricercatore dell’Università di Birmingham ha invece combinato i dati relativi ai cambiamenti dei diversi composti. Il tutto è stato elaborato tramite un algoritmo di machine learning.

Si tratta di un’intelligenza artificiale che consente di distinguere tra i soggetti affetti e quelli non affetti.

Il risultato è stato un test diagnostico con ottima capacità di distinguere tra veri e falsi positivi e veri e falsi negativi.

Il prossimo passo sarà ora quello di ampliare lo studio ed estenderlo ad altri bambini. In tal modo si potrà valutare se i biomarcatori individuati siano in grado di distinguere non solo tra bambini affetti e sani, ma anche tra diverse patologie del Neurosviluppo.

In ogni caso, si tratta di un grande passo avanti nella ricerca sull’autismo.

 

 

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