L’affidamento condiviso rileva soltanto in sporadiche decisioni, che possono essere prese a prescindere dal disturbo della personalità del genitore

Il disturbo della personalità di uno genitore non è sufficiente a giustificare una deroga al regime ordinario dell’affidamento condiviso dei figli.

Lo ha chiarito la suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5096/2018. Gli Ermellini si sono pronunciati sul ricorso presentato da un padre contro il decreto con cui la Corte di appello, in riforma della decisione del Tribunale, aveva ripristinato il regime di affidamento condiviso.

L’uomo lamentava che il giudice a quo non avesse tenuto in considerazione le diverse risultanze che deponevano per l’incapacità genitoriale della moglie. Questa risultava affetta da disturbi delle personalità che si erano manifestati in più occasioni con condotte aggressive e violente nei confronti dei figli.

I Giudici di Piazza Cavour, tuttavia, hanno aderito alle argomentazioni su cui la Corte territoriale aveva fondato la propria decisione.

La Cassazione ha quindi confermato che l’affidamento condiviso “non involge il rapporto quotidiano fra genitori e figli”.

Esso rileva “soltanto nelle sporadiche occasioni di decisioni di particolare importanza”.

Tali decisioni, nel caso esaminato, potevano essere prese a prescindere dai disturbi di personalità della signora, che si manifestavano soltanto in situazioni di grave stress.

Il tutto, attesa la collocazione dei minori presso il padre e le concordate modalità di svolgimento dei loro incontri settimanali con la madre; incontri che, peraltro, si svolgevano o a casa della mamma alla presenza dei servizi sociali, o presso il servizio di neuropsichiatria infantile.

Tali condizioni, dunque, per i giudici erano sufficienti a tutelare i minori. Di qui la decisione di confermare l’affidamento respingendo il ricorso in quanto infondato.

 

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