Un’analisi sul divieto di patto di quota lite, sulla ratio che lo ha ispirato e sulle ripercussioni sui principi di dignità e decoro dell’avvocato

La ratio che ha sempre ispirato il divieto di patto di quota lite risiedeva nella necessità di salvaguardare la terzietà del professionista rispetto alle sorti della vertenza, corollario del più ampio principio della dignità e del decoro dell’avvocato.

Ciò significa che laddove il compenso del legale fosse – in tutto o in parte – legato a una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa, lo stesso mancherebbe di serenità e obbiettività.

Questa mancanza di serenità, in relazione al divieto di patto di quota lite, sarebbe tuttavia una caratteristica esclusiva degli avvocati.

Per tale ragione, la Suprema Corte (Cass. 2.10.2014, n. 20839) ha stabilito il seguente principio di diritto.

“La disposizione di cui all’art. 2233, terzo comma, cod. civ. – nel testo in vigore prima della sostituzione ad opera dell’art. 2, comma 2-bis, del decreto-legge n.223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n.248 del 2006 – nel prevedere la nullità del c.d. patto di quota lite si riferisce esclusivamente all’attività svolta da professionisti abilitati al patrocinio in sede giurisdizionale e non anche all’attività amministrativo-contabile svolta dal consulente del lavoro in ambito previdenziale e finalizzata al conseguimento di sgravi fiscali”.

Ma non è tutto. È infatti fondamentale evidenziare un altro aspetto.

La presunta mancanza di serenità e obiettività, se coinvolti economicamente nell’esito della vicenda giudiziaria, non solo riguarderebbe unicamente gli avvocati ma – in via quasi esclusiva – gli avvocati italiani.

Infatti, la contingent fee (negli Stati Uniti) e la conditional fee (in Inghilterra e Galles) sono calcolate solitamente su una percentuale netta di quanto percepito dal cliente vittorioso. E ciò secondo l’eloquente espressione: no win no fee. Al 2010 le contingent fee erano ammesse nei seguenti Paesi: Australia, Brasile, Belgio, Canada, Repubblica Dominicana, Francia, Grecia, Irlanda, Giappone, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti.

Evidentemente – secondo la ratio che ispira il nostro divieto di patto di quota di lite – gli avvocati stranieri non sono né dignitosi né decorosi!

L’unico patto di quota di lite legittimo è quello – come stabilito dalla Cass. 4 febbraio 2016, n. 2169 – stipulato a conclusione dei giudizi seguiti dall’avvocato. Ipotesi, quest’ultima, evidentemente, del tutto residuale. Per approfondire questo argomento, ti rimandiamo alla lettura dell’analisi dell’Avv. Franco Di Maria

 

 

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