“Finchè è vivo io non intervengo”, avrebbe detto il camice bianco ai familiari, negando un aborto resosi necessario a causa delle difficoltà respiratorie riscontrate da uno dei feti. Ma il primario del reparto smentisce tutto

Il Ministero della Salute ha deciso di inviare i suoi ispettori per fare chiarezza su quanto avvenuto all’Ospedale Cannizzaro di Catania dove domenica scorsa, una donna in dolce attesa, è deceduta dopo il parto prematuro di due gemellini, venuti anch’essi alla luce già morti. La Procura, intanto, a seguito della denuncia presentata dai parenti della gestante, ha aperto un’inchiesta per accertare “se ci siano state negligenze, o imprudenze, imperizie diagnostiche o terapeutiche dei sanitari che hanno avuto in carico la paziente”.

Nella bufera è finito il medico di turno del reparto di ginecologia. Il legale della famiglia sostiene infatti, nell’esposto presentato, che il medico si sarebbe rifiutato di intervenire in quanto obiettore di coscienza. Secondo la ricostruzione presentata dall’avvocato, la signora, una 32enne rimasta incinta grazie alla procreazione assistita e giunta al quinto mese di gravidanza, era stata ricoverata il 29 settembre per una dilatazione anticipata dell’utero. Dopo 15 giorni il suo quadro clinico sarebbe peggiorato rapidamente. La donna avrebbe cominciato ad avere febbre alta, curata con un antipiretico, oltre a collassi e dolori lancinanti. Dai controlli sarebbe poi emerso che uno dei due feti presentava difficoltà respiratorie ma il medico di turno si sarebbe rifiutato di praticare l’aborto. “Finchè è vivo io non intervengo” avrebbe detto ai familiari.

I due gemellini sarebbero venuti alla luce solo dopo una ormai tardiva stimolazione, ormai privi di vita, morti probabilmente a causa di un’infezione alla placenta che nel giro di pochi giorni si è diffusa in tutto il corpo della mamma, provocandone il decesso. A fare chiarezza sulle cause della morte sarà comunque l’autopsia che si svolgerà nelle prossime ore. Il sostituto procuratore, nel frattempo, provvederà a iscrivere nel registro degli indagati tutti i sanitari che hanno avuto in cura la puerpera dal momento del suo ricovero fino al decesso; un atto di garanzia necessario proprio per consentire ai medici di nominare i propri legali e consulenti in vista dell’esame autoptico.

Le accuse della famiglia, tuttavia, sono state respinte con fermezza dal  primario di Ginecologia del nosocomio, il quale ha affermato che non esiste l’obiezione di coscienza in un aborto spontaneo, sostenendo che la signora ha prima abortito e poi è stata male, oltre a escludere che nessuno dei suoi medici abbia mai pronunciato le parole riportate nella denuncia.

 

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