In netta controtendenza rispetto a decenni di Giurisprudenza la Corte di Appello di Roma introduce, o meglio, rafforza il precetto ex art. 1227 del c.c. consolidando il principio del concorso di colpa del paziente nell’ambito della responsabilità sanitaria
Nel caso di specie, l’attrice si era procurata il danno (lesione legamenti del dito) rimanendo impigliata con l’anello ad un cancello, procurandosi quindi una lesione oggetto di intervento medico successivo.
Tale elemento oggettivo è stato determinante per ridurre proporzionalmente (e sostanzialmente) la responsabilità del medico.
La Corte di Appello di Roma nella sentenza n. 1667 del 2015, pronunciata nell’ambito del delicato settore della responsabilità civile in campo medico, apre un”gate” di  temperamento di tale forma di responsabilità al fine di contenere il noto fenomeno della “medicina difensiva”.
Nell’atto introduttivo, l’attrice riferiva di “essersi impigliata con l’anello del quarto dito della mano sinistra ad un cancello causandosi la lesione (consistita nello scuoiamento del dito)” dalla quale residuava, all’esito dell’ intervento sanitario, la deformazione anatomica del dito, la perdita di sensibilità e capacità di prensione, l’assenza di articolazione e cicatrici.
In primo grado, il Tribunale di Frascati ex SD di velletri, condannava parte convenuta al risarcimento del danno (quantificato in € 82.240,86) in quanto “non appare inverosimile ritenere che una tempestiva e corretta diagnosi ed una tempestiva e corretta terapia avrebbero verosimilmente evitato l’evento negativo”.
La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dato atto che nel nostro sistema giudiziario, “il medico o la struttura sanitaria convenuta in giudizio dal preteso danneggiato ha ormai possibilità di scampo pressoché nulle” e ciò a causa di plurimi fattori quali “la totale dislocazione della responsabilità dal versante contrattuale”, il fatto che “l’obbligazione del medico e della struttura sanitaria è riguardata come obbligazione di risultato”, che “il nesso di causalità si scrutina in applicazione del parametro del più probabile che non”, e, infine, che “l’incertezza sul nesso di causalità ridonda in danno del medico”.
Pertanto, prosegue la Corte, pur non essendovi spazio per rigettare la domanda in ragione della mancanza di prova del nesso di causalità tra la condotta del sanitario ed i postumi patiti dalla danneggiata- accertato comunque l’AN in sede di CTU “atteso il quadro della giurisprudenza di legittimità” in materia , “i detti postumi sono il frutto quanto meno del concorso del fatto colposo della danneggiata, che per propria evidente negligenza –distrazione si è provocata lo scuoiamento del dito”.
Per tali ragioni, la misura del risarcimento è stata notevolmente ridotta ad 1/5 della somma richiesta originariamente.

Avv. Mario Marcellini

Foro di Velletri

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