Cassazione n.679 del 2016. Il risarcimento del danno è ridotto per gli eredi del congiunto che decede per cause indipendenti dal danno stesso

Quando la durata della vita futura della vittima di un illecito cessa di essere un valore ancorato alla probabilità statistica e diventa un dato noto per il fatto che il danneggiato è deceduto, seppur per cause diverse ed autonome rispetto all’evento lesivo originario, la quantificazione del danno biologico va parametrata alla durata effettiva della stessa, in quanto tale danno è rappresentato proprio dalle ripercussioni negative sull’integrità psicofisica.

E’ questo il principio stabilito, in conformità con una impostazione costante della giurisprudenza dei giudici di Piazza Cavour, una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (18 gennaio 2016, n. 679).
Ciò significa, in altre parole, come pure precisa tale decisione, che nella materia del risarcimento del danno non patrimoniale, quando al momento di provvedere alla liquidazione del danno biologico la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, alla valutazione probabilistica connessa con l’ipotetica durata della vita del soggetto danneggiato va sostituita quella del concreto pregiudizio effettivamente prodottosi, con la conseguenza che l’ammontare del danno biologico (ovviamente richiesto iure successionis dagli eredi del defunto) va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva.
La conseguenza concreta di un siffatto orientamento è che, nella ricorrenza delle circostanze suddette, il risarcimento spettante agli eredi, a titolo successorio, per il danno biologico subito dal congiunto, viene ridotto rispetto a quello che alla vittima dell’illecito sarebbe stato riconosciuto ove fosse rimasto in vita.

La fattispecie concreta
Nel caso di specie era accaduto che un soggetto avesse riportato un grave danno biologico (valutato nella misura del 60%) in conseguenza del tardivo trattamento, da parte dei sanitari, di un idrocefalo determinatosi in esito ad un intervento chirurgico per tumore benigno al cervello al quale il paziente era stato sottoposto nella struttura sanitaria convenuta in giudizio.
Ad avviso della moglie e dei congiunti, il trattamento sanitario non corretto, oltre a produrre l’appena citato danno biologico, avrebbe anche comportato il successivo decesso del danneggiato.
Sulla scorta delle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio espletata in separato procedimento di accertamento tecnico preventivo, sia il Tribunale che la Corte di Appello escludevano però la ricorrenza di un nesso causale tra il trattamento sanitario, pur tardivo, ed il decesso del paziente, avvenuto più di due anni prima.

In particolare, poi, la Corte di Appello, proprio in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale sopra descritto, riduceva l’importo del risarcimento liquidato, iure successionis, a titolo di danno biologico agli eredi, rispetto a quello stabilito dal Tribunale, evidenziando come il Tribunale non avesse appunto tenuto conto del fatto che, una volta intervenuta la morte del soggetto danneggiato, l’incidenza della menomazione permanente sull’esplicazione della sua personalità andava risarcita non già con riferimento al calcolo probabilistico basato sull’aspettativa di vita residua, bensì sull’effettiva durata della vita successiva all’evento lesivo.

Di fronte a questa pronuncia i congiunti del danneggiato hanno proposto ricorso per Cassazione per una pluralità di motivi tra i quali, appunto, quella relativa all’ingiustificato, a loro avviso, abbattimento da parte della Corte di appello di quanto riconosciuto a titolo risarcitorio dal giudice di primo grado.
La Corte di legittimità, però, facendo applicazione del principio di diritto riportato all’inizio delle presenti considerazioni, rigetta tale motivo, ribadendo così l’orientamento giurisprudenziale, di recente origine ma già consolidato, orientamento sul quale appare opportuno effettuare un approfondimento, seppur sintetico.

La Cassazione e la giurisprudenza recente in tema di decesso sopravvenuto per cause autonome rispetto a quelle dell’illecito
Nel ribadire il principio ormai più volte ricordato la recente sentenza della Cassazione compie in motivazione espresso riferimento alla giurisprudenza in materia, limitandosi a citare, tra le tante pronunce in tal senso, Cass. civ., 30 ottobre 2009, n. 23053.

Volendo tracciare un sintetico excursus sull’evoluzione della giurisprudenza sul punto, pare di poter dire che la prima decisione ad affermare, dopo la rimeditazione del sistema complessivo del risarcimento del danno non patrimoniale operata dalle note “sentenze gemelle” del 2003, che la liquidazione del danno biologico debba essere parametrata, in caso decesso per motivi indipendenti dalla lesione originaria, alla durata effettiva della vita, vada rinvenuta in Cass. n. 19057 del 2003, la quale aveva affermato che “la morte della persona sopravvenuta prima della liquidazione del risarcimento, rende misurabile e rapportabile alla durata della vita successivamente alla menomazione l’incidenza negativa da questa arrecata” e quindi che “la determinazione del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono iure successionis va effettuata non con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto, ma alla durata effettiva”.

Questa stessa sentenza ha enunciato anche un interessantissimo principio, come stiamo per vedere, poi ripreso e meglio chiarito anche dalla giurisprudenza successiva, relativo alla determinazione del danno morale nelle medesime circostanze descritte. Secondo questa sentenza del 2003, infatti, se è vero che il danno morale può tendenzialmente (ma non necessariamente) rappresentare un’entità decrescente con l’allontanarsi dal momento del fatto illecito generatore di danno, ciò non esclude affatto che il giudice di merito, nel personalizzare la liquidazione del danno nel caso concreto, in ipotesi di soggetto che deceda prima del termine del giudizio, debba tener conto del fatto che nei primi tempi dal fatto illecito il patema d’animo è più intenso rispetto ai tempi successivi.

Principio analogo a quello confermato dalla recentissima sentenza in commento si trova espresso anche in Cass. civ., n. 29191 del 2008, la quale aveva affermato che “la morte della vittima per cause indipendenti dalla lesione originaria incide sulla valutazione del danno biologico futuro, che resta tale nella sua integrità sino al tempo del decesso, come debito di valore” , con la conseguenza ulteriore che “la riduzione non opera sulla determinazione del danno biologico statico (consolidamento de postumi al tempo della vita e riconoscimento della invalidità) ma solo sulla determinazione del danno biologico globale, considerato ai valori attuali al tempo della decisione in relazione alla estinzione del danno futuro a seguito della perdita della vita”.

Successivamente, merita di essere segnalata Cass. civ. n. 2297 del 2011, la quale, dopo aver ritenuto esente da vizi la decisione con cui la Corte di appello aveva escluso la sussistenza di nesso causale tra il decesso dovuto a S.L.A. e le conseguenze lesive di un pregresso sinistro stradale che gli aveva procurato un rilevante danno biologico, oltre a riaffermare il principio secondo cui nel momento in cui avviene la liquidazione la persona danneggiata sia già deceduta, l’ammontare del danno biologico va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva, ha al tempo stesso evidenziato come nella determinazione di tale ammontare deve essere tenuto conto del fatto “che nei primi tempi il patema d’animo è più intenso rispetto ai periodi successivi”.

L’elemento innovativo di questo passaggio consiste nel fatto che, mentre la già citata sentenza n. 19057 del 2003 aveva valorizzato la maggior sofferenza nel periodo di immediatezza rispetto all’evento lesivo nell’ambito della quantificazione del danno morale, la decisione del 2011, sebbene si riferisca espressamente al “patema d’animo” (espressione che evoca la componente “danno morale” dell’unitario pregiudizio non patrimoniale subito), inquadra la maggior intensità delle conseguenze dannose nell’ambito della quantificazione della “voce” danno biologico.

Tale precisazione si rivela a mio avviso fondamentale ai fini della individuazione del criterio maggiormente equo ai fini di parametrare la liquidazione del danno biologico rispetto alla durata effettiva della vita del danneggiato che abbia riportato un danno alla salute con esiti permanentemente invalidanti, tanto è vero che questo criterio è stato utilizzato nell’ambito delle tabelle elaborate dal Tribunale di Roma (anno 2013) per la liquidazione del danno biologico, nel paragrafo intitolato “Criteri per la liquidazione del danno biologico in caso di decesso per causa diversa” .

Il criterio elaborato dalle Tabelle “romane” 
Non vi è dubbio che il principio generale elaborato dalla giurisprudenza uniforme, di cui si è dato conto nei paragrafi precedenti, si basi su ragionamenti del tutto condivisibili, proprio in considerazione della natura del danno da lesione dell’integrità psico-fisica.
Infatti, ritenere che il risarcimento del danno biologico, cui consegua dopo un certo tempo (ma comunque prima della liquidazione, stragiudiziale o giudiziale che sia), la morte, sia dovuto per intero, come se il soggetto avesse raggiunto una durata di vita conforme alle speranze statistiche (che è poi il criterio ispiratore del sistema tabellare), non è corretto, in quanto esclude uno degli elementi costitutivi del danno risarcibile, vale a dire la durata di detto danno (l’altro elemento, come noto, è quello della gravità del danno).

Se infatti il danno biologico è una perdita (del bene salute), effettivamente non può dar luogo allo stesso risultato risarcitorio subire una perdita del bene salute (in una data percentuale X) solo per alcuni mesi o anni o – invece – per la restante intera durata della vita media. D’altronde, se si dovesse ragionare diversamente, cioè nel senso di escludere ogni rilevanza al fattore tempo di durata del danno biologico, dovrebbe allora ritenersi che il diritto al risarcimento del danno biologico entrerebbe per intero nel patrimonio del danneggiato, anche se questi è sopravvissuto solo pochi momenti dopo il fatto lesivo.

Un tale esito, per giunta, metterebbe in crisi le stesse categorie del danno biologico, sia temporaneo che permanente, come già venne affermato dalla citata Cass. n. 29191 del 2003.
Al di là principi enunciati dalla Cassazione, condivisibili in astratto per quanto appena detto, resta sul tappeto il problema concreto della individuazione di un criterio idoneo a pervenire ad una quantificazione equa del risarcimento del danno biologico che tenga conto della durata effettiva del tempo nel quale il danneggiato patisce le conseguenze delle lesioni costituenti danno biologico prima del decesso.

Si tratta di questione di non poco conto, sia perché si deve evitare di riconoscere importi risarcitori irrisori a fronte di danni biologici di entità rilevante, patiti per un periodo temporalmente lungo e, al tempo stesso, evitare di attribuire risarcimenti pressochè analoghi a quelli tabellari anche in situazioni nelle quali tra la lesione che procura danno biologico e il decesso avvenuto per cause autonome trascorra un lasso di tempo ristretto.
In questo quadro, un criterio senz’altro interessante è quello elaborato all’interno delle tabelle del Tribunale di Roma per l’anno 2013 le quali, nel paragrafo sopra citato, dopo aver descritto l’orientamento della giurisprudenza sul punto (che è quello sin qui descritto), ed aver giustamente valorizzato il principio giurisprudenziale secondo cui il patema d’animo è più intenso nei primi tempi rispetto ai periodi successivi, propongono di tener conto dei seguenti parametri:

· Il danno non è una funzione costante crescente con il tempo, nel senso che non si acquisisce giorno per giorno una frazione del danno complessivo ma si acquisisce subito (ovviamente nella misura dei postumi stabilizzati) una parte – che rappresenta l’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta – subito ed una parte che è invece correlata con i progressivi pregiudizi fisici e psichici che il soggetto incontro nel tempo (e ciò rappresenta concretizzazione del principio sopra detto più volte, per cui la percezione della lesione è maggiore nel momento di stabilizzazione della stessa, poiché in essa il danneggiato acquista la consapevolezza delle sue mutate condizioni psicofisiche, alle quali poi, con un processo differente da persona a persona ma in linea generale comune a tutti, cerca di adattarsi);

· L’importo di cui sopra (danno per così dire “immediato”) viene quantificato in un valore compreso tra il 10 ed il 50% di quella tabellare base, in relazione all’entità del danno biologico accertato, calcolato come segue:
-danno biologico da 0 a 20%: quota di danno riconoscibile come danno immediato da 0 a 10% della tabella base;
-danno biologico da 21 a 40%: quota di danno risarcibile come danno immediato da 10 a 20% della tabella base;
-danno biologico da 41 a 60%: quota di danno risarcibile come danno immediato da 20 30% della tabella base;
-danno biologico da 61 a 80%: quota di danno risarcibile come danno immediato da 30 a 40% della tabella base;
-danno biologico 80 a 100%: quota di danno risarcibile come danno immediato da 40 a 50% della tabella base;

· La parte restante è pari al rapporto tra la somma tabellare, ridotta dell’importo già considerato (per cui, supponendo un danno biologico pari al 40% per il quale sia stato determinato un 20% come danno immediato, resterebbe l’80% da ripartire in base alla durata della permanenza in vita) per il numero di giorni di sopravvivenza prevedibile secondo la vita media (vale a dire si calcola la durata della sopravvivenza prevedibile secondo la vita media, si divide per il danno residuo e si ottiene la somma, calcolata a giorno, a mese o ad anno, da moltiplicare per il periodo di sopravvivenza concreta);

Giova precisare che, secondo quanto elaborato dalle tabella che stiamo descrivendo, per un calcolo più realistico, si deve tener conto non della durata della vita media per tutti ma della durata della vita media per fasce di età, della aspettativa di vita fondata sulla età della persona di cui si tratta, procedura che conduce ad un risultato diverso, in quanto la determinazione della aspettativa di una persona di 80 anni è maggiore rispetto al dato della durata media della vita (82 anni), dato che sulla aspettativa di vita di un soggetto giunto ad 80 anni si ha a che fare con persone destinate a vivere più a lungo in quanto la vita media sconta i decessi avvenuti prima del tempo. Questo dato è espresso dal Tribunale di Roma in una tabella che, per fasce di età, potrebbe indicare la cosiddetta aspettativa di vita a partire dai 40 anni , età alla quale inizia a divaricarsi significativamente l’età media dalla aspettativa di vita.

Sulla base di questi criteri, il danno biologico da risarcire, fatta ovviamente salva la possibilità di personalizzazione, verrà calcolato dalle due quote dette, la prima costituita dalla percentuale di danno acquisita immediatamente per effetto della lesione, la seconda calcolata sulla base della sopravvivenza concreta rispetto a quella statistica, calcolata sulla base del rapporto tra vita media e vita concreta dopo la lesione.

Al fine di meglio comprendere il meccanismo, si ritrascrive di seguito integralmente uno degli esempi tratti dalle tabelle romane del 2013:

Soggetto di 61 anni che subisce una lesone valutata come 40% di danno biologico e che muore dopo cinque anni per causa diversa dalle lesioni
Calcolo
Danno biologico tabellare 40%= euro 158.104,47
I quota relativa al danno acquisito immediatamente
20% (tabella danno biologico da 21 a 40% – possibile forbice dal 10 al 20%) = euro 31.620,89
II quota relativa al danno da acquisire nel tempo
Danno biologico residuo detratto da quello già acquisito (158.104,47 – 31.620,89) = euro 126.483,68
Vita media in relazione all’età dell’incidente secondo la tabella anni 87 (anni ancora da vivere in media 26 secondo la tabella specifica di cui alla precedente lettera d), anni 26, anni vissuti in concreto 5.
Importo da corrispondere 5/26 di euro 126.483,68 (euro 126.483,68:26= euro 4.864,75 x 5) = 24.323,75
Importo totale da corrispondere (somma delle quote I e II) = euro 31.620,89 + euro 24.323,75 = euro 55.944,65

Conclusioni
Premesso che i principi affermati dalla ormai più che consolidata giurisprudenza sul punto sono condivisibili, la questione più delicata continua ad essere quella dei parametri mediante i quali quantificare il danno biologico, già accertato o comunque accertabile medico legalmente, subito da un soggetto danneggiato che poi deceda, per cause autonome, prima che si pervenga alla liquidazione.

Il criterio elaborato dal Tribunale di Roma, del quale però non constano – almeno a chi scrive – applicazioni pratiche effettive, pare equo, in quanto basato prevalentemente sulla attribuzione di un valore non meramente simbolico alla quota denominata di danno “immediato”, vale a dire quella connessa alla percezione della lesione permanente della propria integrità psicofisica, il che consente di evitare che vengano attribuiti risarcimenti irrisori in situazioni nelle quali un soggetto permane in vita per mesi – o anni – con una invalidità permanente rilevante.

Per giunta, si tratterebbe di un criterio che, in quanto ancorato a parametri individuati, fornirebbe un margine di prevedibilità del risarcimento, opportuno anche in prospettiva di possibili composizioni bonarie, differentemente accade da altre ipotesi risarcitorie (come ad esempio quella tipica del danno “catastrofale” o “da agonia”), nelle quali la liquidazione, talvolta anche piuttosto elevata, è puramente equitativa.

                                                                                                                                                    Avv. Leonardo Bugiolacchi

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1 commento

  1. buongiorno avrei bisogno di alcune informazioni, mia moglie e deceduta a causa di tumore riconosciuta dall INAIL come malattia professionale nella misura del 60% mediante sentenza, liquidata dall INAIL e ricevo una pensione di reversibilità, i calcolo per il risarcimento e stato preso la somma minima e non il riferimento della pensione annue oppure l ultimo stipendio annuo di quando lavorava. faccio presente che quando e stata la domanda amministrativa mia moglie era in vita e non lavorava perchè era in pensione. informo che l azienda che prestava l opera mia moglie era la Pirelli produttrici di cavi elettrici, ed la società oltre alla assicurazione obbligatoria con l INAIL aveva stipulato una polizza assicurativa con una società assicurativa privata por ogni dipendente. DOMANDA, posso richiedere il risarcimento alla società assicurativa, oppure all azienda in cui lavorava? se è si, tra questi quali mi spetterebbe?
    danno da morte del congiunto
    danno biologico
    danno patrimoniale
    resto in attesa di una gradevole risposta la saluto

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