È escluso il patteggiamento allargato in caso di violenza sessuale aggravata per cui, in caso di ammissione dell’imputato al rito speciale, la pena applicata deve ritenersi illegale

La vicenda

In accoglimento della richiesta congiuntamente avanzata dall’imputato e dal p.m., il g.i.p. del Tribunale di Trieste condannava l’imputato alla pena di due anni e sei mesi di reclusione, condizionalmente sospesa per i reati di violenza sessuale aggravata.

Contro tale pronuncia il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi ad un unico motivo: la violazione dell’art. 444 c.p.p., comma 1-bis.

Il delitto di violenza sessuale aggravata è compreso nell’elenco dei reati per i quali è espressamente escluso l’accesso al c.d. “patteggiamento allargato”.

Ciononostante, il Gip aveva ammesso l’imputato al rito speciale.

La Terza Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 20483/2019) ha accolto il ricorso, ricordando che il “patteggiamento allargato” – ossia il caso in cui la pena detentiva applicata su accordo delle parti è superiore a due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, ma non a cinque anni – è precluso per i procedimenti aventi ad oggetto una serie di delitti espressamente indicati dall’art. 444 c.p.p., comma 1-bis, tra cui quelli di cui agli artt. 609-bis e 609-ter c.p., nonchè in relazione a determinate tipologie delinquenziali, come nel caso di recidivo reiterato.

E difatti, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, è affetta da nullità, in quanto applica una pena illegale, la sentenza di patteggiamento cosiddetto “allargato” nei confronti di persona cui sia stata contestata la recidiva reiterata.

Un principio del genere continua a trovare applicazione anche a seguito della novella dell’art. 448 c.p.p., comma 2-bis, introdotta con la L. 23 giugno 2017, n. 103, a tenore del quale il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. “solo per motivi attinenti l’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza”.

Ebbene, stante lo sbarramento posto dall’art. 444 c.p.p., comma 1-bis e l’errore commesso dal g.i.p., la riduzione della pena applicata doveva, pertanto, considerarsi illegale (in quanto non dovuta).

La redazione giuridica

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