Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. Era questo il capo di imputazione oggetto del processo penale a carico di una donna, accusata di aver intenzionalmente trasferito, al fine di sottrarli al pignoramento, i beni dal loro originario luogo di custodia

Viene in rilievo l’art. 388 del codice penale, che in materia di esecuzione forzata, testualmente dispone che “Chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi all’ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
In primo grado era stata condannata alla pena di legge per il reato constato. La sentenza aveva trovato conferma anche in appello.

Cosicché imputata decideva di presentare ricorso per Cassazione per denunciare l’illegittimità della decisione impugnata.

In particolare, secondo la difesa la sentenza era errata perché non teneva conto della speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p., applicabile al caso in esame; in tutto in violazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 13681/2016 dal momento che la condotta contestata aveva avuto ad oggetto sostanzialmente, soltanto la mancata comunicazione dell’allontanamento da luogo in cui i beni sottoposti ad esecuzione forzata, si trovavano e che il danno era di dimensioni contenute.
I giudici della Cassazione preliminarmente ricordano che “il reato di sottrazione di cose sottoposte a pignoramento, previsto dall’art. 388, comma 3 c.p., ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui viene posta in essere la violazione del vincolo di indisponibilità cui è soggetto il bene, così che, una volta constatato che lo stesso è stato distolto dalla procedura esecutiva, si deve escludere che un successivo accertamento della medesima condotta già compiuta, integri un’ulteriore violazione della norma incriminatrice, trattandosi della mera ricognizione di effetti, ancora permanenti, di un delitto già perfezionatosi “(Cass. n. 52173/2017).
Ma non è tutto. Per i giudici della Cassazione il motivo di ricorso relativo al diniego di applicazione al caso in esame della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto era fondato.
Ed in effetti, nel caso in esame, il credito per il recupero del quale era stata azionata la procedura di esecuzione forzata era di importo sostanzialmente modesto, si trattava di soli 500 euro. Ragion per cui l’offesa doveva già essere considerata di particolare tenuità.
La sentenza impugnata è stata, perciò, annullata senza rinvio stante la dichiarazione di non punibilità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis c.p.

La redazione giuridica

 
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