Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile. Ma esiste l’obbligo di informare il partner sulla propria fertilità? E’ quanto chiesto dal ricorrente ingannato dalle dichiarazioni della propria compagna, dalla cui relazione era nato un bambino 

La vicenda

Nel 2007 il Tribunale di Napoli aveva rigettato l’istanza di risarcimento proposta dal ricorrente nei confronti della sua ex compagna per i danni a lui derivati dalla nascita indesiderata di un loro figlio.
Dopo il giudizio d’appello conclusosi con la conferma integrale della decisione di primo grado, la vicenda è giunta in Cassazione.
La sentenza impugnata – a detta del ricorrente – aveva omesso di considerare ” il principio generale e costituzionale “della necessaria condotta di buona fede e correttezza delle parti nelle reciproche relazioni”, per non aver attribuito ” rilievo al necessario accertamento della veridicità o meno delle informazioni” fornite al ricorrente dalla controparte, e se queste “fossero state date in buona o in mala fede”: e in tutto ciò, vi sarebbe stata violazione dell’art. 116 c.p.c..
L’uomo sosteneva che, prima del rapporto sessuale con la controparte in cui venne concepito il loro figlio, la donna gli aveva detto di essere in quel momento infertile per avere concluso proprio quel giorno il suo ciclo mestruale; ma tale informazione sarebbe stata una consapevole menzogna che avrebbe indotto il ricorrente, pur non volendo egli generare, a compiere l’atto sessuale senza alcuna precauzione, per cui l’inganno della sua controparte sarebbe stato “da configurare quale vera e propria truffa”.
Non soltanto, ma il rapporto sessuale sarebbe avvenuto anche in violazione dell’articolo 1 I. 194/1978, laddove (comma 1) “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”.

Il giudizio di legittimità: illecito civile o penale?

I giudici Ermellini, chiamati a pronunciarsi sulla vicenda, preliminarmente hanno rilevato che il motivo introdotto dal ricorrente operava una commistione dell’illecito civile con l’illecito penale, senza chiarire neppure il tipo di danno che da tale non identificato illecito gli sarebbe derivato.
Non era chiaro se si trattasse di danno patrimoniale per il sostentamento del minore oppure di un danno non patrimoniale di tipologia esistenziale, posto che secondo quanto dichiarato dallo stesso ricorrente la nascita del figlio gli avrebbe sconvolto la vita e in ogni caso non avrebbe più potuto costruirsi una famiglia regolare perchè le sue successive compagne non vi sarebbero state disposte per l’esistenza di tale bambino.

L’inganno nei rapporti sessuali: violazione della buona fede?

Invero non esiste giurisprudenza relativa alla violazione del principio di buona fede in relazione ai rapporti sessuali intrattenuti col partner.
“L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile in ambito contrattuale ed extracontrattuale, che impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso) nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile.
E’ evidente, peraltro, che non è possibile traslare l’orientamento appena sintetizzato a quanto addotto dal ricorrente.
A suo avviso, egli sarebbe stato ingannato dalla sua partner nell’ambito di un rapporto sessuale. «Non si comprende, invero, come un rapporto sessuale possa essere sussunto nell’esercizio del diritto e nell’adempimento del corrispondente obbligo di solidarietà. Nè, d’altronde, appare pertinente il riferimento alla L. n. 194 del 1978, art. 1, comma 1, poichè in esso è sì garantito “il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”, ma come diritto pubblico, garantito infatti dallo Stato, e non come obbligo del partner».

La disciplina penale

L’obbligo del partner di rispettare la volontà della persona con cui intende compiere un atto sessuale completo si rinviene, invece, nell’ambito penale, come tutela però della libertà sessuale (art. 609 bis c.p. e ss.), e non della fertilità o infertilità dell’atto sessuale come scelta che l’uno possa imporre all’altro. Potrebbe semmai integrarsi il reato di violenza privata, laddove uno degli esecutori dell’atto sessuale costringa l’altro ad adottare o a non adottare mezzi che incidono su tale potenzialità procreativa; ma si tratta comunque di un fatto che deve compiersi, appunto, “con violenza o minaccia”, ovvero costrizione, e non con una eventuale menzogna.
Il reato, invece, invocato dal ricorrente, la truffa attiene alla tutela del patrimonio; ma – osservano i giudici della Cassazione – «l’acquisizione di una paternità indesiderata non è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 640 c.p., dato che questo prevede come conseguenza dell’inganno il fatto che chi delinque “procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”».
In definitiva, i giudici della Cassazione hanno affermato che non può, logicamente, assimilarsi ad un rapporto contrattuale un rapporto sessuale tra due persone ad esso consenzienti (e tra l’altro, pacificamente, non riconducibile ad alcuna attività di prostituzione), ed inserire in esso l’obbligo di ciascuno di informare l’altro del suo stato di fertilità o meno.

Al contrario, ciò rientra, nel diritto alla riservatezza della persona che è invece, senza dubbio, tutelato dall’ordinamento.

Nè, d’altronde, lo stesso ricorrente aveva addotto di avere stipulato un contratto con la controricorrente, ponendo la questione, per lo più, sul piano dell’extracontrattuale.
Dunque, non solo non è configurabile alcuna fattispecie penale, ma vi è di più, «quanto all’illecito aquiliano, se una persona fornisce alla persona con cui intende compiere un atto sessuale completo una informazione non corrispondente al vero in ordine al suo attuale stato di fertilità o infertilità, a tacer d’altro, in concreto nulla ne può derivare in termini risarcitori, per il combinato disposto dell’art. 1227 cpv., e dell’art. 2056 c.c., comma 1: una persona che è in grado di svolgere un atto sessuale completo, infatti, non può – alla luce del notorio – ignorare l’esistenza di mezzi contraccettivi, il cui reperimento e utilizzo sono di tale agevolezza che non possono non essere ascritti alla “ordinaria diligenza” per chi, appunto, in quel determinato caso intende esclusivamente soddisfare un suo desiderio sessuale e non vuole invece avvalersi delle sue potenzialità generative».
Il ricorso è stato perciò respinto in via definitiva con l’enunciazione della seguente motivazione: il ricorrente “in quanto portatore di un così forte e intenso desiderio di non procreare, avrebbe dovuto adottare sicure misure precauzionali”, onde, non facendolo, egli stesso ha “assunto il rischio delle conseguenze dell’azione“.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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