Al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice deve tenere conto anche di altri elementi, quali la disponibilità di un consistente patrimonio e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso

«La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio , presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli «necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio».

È quanto si legge in una recente sentenza della Sesta Sezione Civile della Cassazione (n. 16809/2019), nella quale è stato affermato il principio secondo cui il giudice di merito può anche determinare, ai fini del mantenimento del coniuge separato, una somma più alta del reddito dichiarato dall’onerato, ma che sia confacente con il suo tenore di vita.

Criteri per la determinazione dell’assegno di separazione

Al riguardo la Corte di Cassazione aveva già chiarito che «in tema di separazione tra coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice del merito deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruità dell’assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato», cosicché «il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti –anche se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato (incluse le disponibilità monetarie e gli investimenti in titolo obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro; e, nell’esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di una capacità reddituale, l’entrata derivante dalla percezione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio minore, atteso che anch’esso deve essere quantificato, tra l’altro, considerando le sue esigenze ed in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori e le risorse ed i redditi di costoro».

Peraltro, sempre la Suprema Corte ha chiarito che «l’art. 156, secondo comma, c.d., stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno non solo valutando i redditi dell’obbligato, ma anche altre circostanze non indicate specificamente, né determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’obbligato, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti».

La redazione giuridica

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