Le procedure, in sede civile e penale, per agire qualora si rimanga vittime del reato di falsa testimonianza nel corso di un procedimento giudiziario

Chiunque affermi il falso o neghi il vero davanti all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale rischia di incorrere nel reato di falsa testimonianza.

La fattispecie può configurarsi anche qualora il testimone taccia, in tutto o in  parte, i fatti di cui è a conoscenza e su cui viene interrogato.

Lo stabilisce l’art. 372 del codice penale prevedendo per tale comportamento una pena da due a sei anni di reclusione.

Si tratta di una norma prevista per tutelare il corretto funzionamento dell’attività giudiziaria e per garantire la veridicità e la completezza della prova testimoniale.

Chi ritiene di essere rimasto vittima di tale delitto nel corso di un procedimento può agire nei confronti del presunto falso testimone.

La procedura varia a seconda che ci si trovi in sede civile o penale.

Nel primo caso l’impugnazione può avvenire per appello o per revocazione straordinaria.

L’appello, che sfocia in un secondo giudizio in cui le prove presentate in primo grado vengono nuovamente esaminate,  può essere proposto entro 30 giorni dalla notifica della sentenza. In mancanza della notifica il termine scade dopo sei mesi dalla data di pubblicazione della stessa.

La revocazione presuppone invece che la falsa testimonianza venga scoperta o dichiarata una volta scaduti i termini per l’appello. Va proposta entro 30 giorni da quando viene scoperta la falsità davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

In base all’art. 395 c.p.c. si può fare ricorso a tale strumento “se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza”.

In ambito penale, invece, si può presentare una querela denuncia alla Procura della Repubblica o alla Polizia giudiziaria.

La parte offesa, in tale sede, dovrà produrre la documentazione necessaria a provare che la deposizione del teste non sia veritiera o che questi abbia omesso di rivelare fatti di cui era a conoscenza.

 

 

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