Era stato citato a giudizio davanti al Tribunale di Brescia per il reato di false informazioni al pubblico ministero rese in un procedimento penale che vedeva altri soggetti imputati, tutti per reati in materia di rifiuti

In occasione della prima udienza, su specifica eccezione del difensore, il Tribunale aveva disposto lo stralcio della sua posizione e quindi, sospeso il procedimento ai sensi dell’art. 371 bis c.p., comma 2, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado nei confronti degli altri imputati. L’articolo 371 bis c.p. stabilisce che “Chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende false informazioni ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni”.
E, “Ferma l’immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale, negli altri casi, resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere”.
Ma contro tale decisione il difensore dell’imputato aveva proposto ricorso per cassazione sostenendo l’abnormità di tale provvedimento posto che con esso, il giudice avrebbe esercitato un potere spettante al pubblico ministero esercitabile unicamente nella fase delle indagini preliminari, e per di più avrebbe realizzato una irragionevole stasi del procedimento.
Ma per i giudici della Cassazione una simile interpretazione non è condivisibile dal momento che “la ratio della disciplina…. è ravvisabile… nell’esigenza di garantire la libertà morale e di autodeterminazione della persona indagata per il reato di false informazioni da forme di condizionamento psicologico esercitabili dal pubblico ministero nel momento in cui nel procedimento principale l’organo dell’accusa è “processualmente” interessato alla formazione della prova” (Corte costituzionale n. 61/1998).

Il reato di false informazioni al Pubblico Ministero

La norma incriminatrice era, infatti, stata introdotta dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, per colmare la lacuna della sostanziale impunità di chi rendeva false o reticenti dichiarazioni al PM.
Successivamente, la L. n. 332 del 1995 ha introdotto la regola della sospensione del procedimento (oltre ad una diminuzione del limite di pena tale da impedire l’arresto in flagranza) per la chiara finalità di impedire che la genuinità delle dichiarazioni in fase di indagine potesse essere condizionata dalla soggezione psicologica del soggetto sentito fuori del contraddittorio.
Ebbene, con specifico riferimento al caso in esame, osservano i giudici della Cassazione che, la decisione adottata nel corso del procedimento penale in cui detta dichiarazione ritenuta falsa fu resa “non fa di per sé stato nel procedimento ex art. 371 bis c.p.”; perciò, nel caso del reato in questione, ad esempio, è ben possibile che la sentenza del processo principale, ritenga inattendibile la dichiarazione resa al PM (se utilizzata per le contestazioni o quale prova nel giudizio abbreviato) e che il giudice del processo ex art. 371 bis c.p., ritenga che tale inattendibilità non rappresenti di per sé un’adeguata prova del mendacio.
Così come pure non si esclude che tale sentenza (o archiviazione etc.) non accerti alcunché sull’oggetto della dichiarazione ritenuta falsa”.
È per tali ragioni che il ricorso principale è stato respinto.

La redazione giuridica

 
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